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James Webb trova le molecole organiche complesse più lontane di sempre

Un’altra prova delle straordinarie capacità osservative del telescopio spaziale James Webb: individuate le molecole organiche complesse più distanti finora rilevate. Lo studio che descrive i risultati di questa notevole scoperta è stato pubblicato sulla rivista “Nature” pochi giorni fa.

di Andrea Castelli

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La galassia SPT0418-47 diventa visibile grazie al lensing gravitazionale. Credits: J. Spilker/S. Doyle, Nasa, Esa, Csa.

Non è una novità scoprire che il James Webb Space Telescope è dotato di capacità sorprendenti, come testimoniato più volte dai notevoli risultati raggiunti, ma quel che è certo è che ultimamente sta dando il meglio di sé. Elaborando dati raccolti nei mesi scorsi proprio grazie a Webb, un team internazionale di astronomi della Texas A&M University e dell’Università dell’Illinois ha rilevato la presenza di molecole organiche complesse in una galassia a più di 12 miliardi di anni luce di distanza dalla Terra, la galassia più lontana in cui siano mai state individuate queste molecole. Si tratta di idrocarburi policiclici aromatici, molecole organiche complesse – composte anche da centinaia di atomi – piuttosto comuni sul nostro pianeta, poiché si trovano nel petrolio, nella fuliggine, nei gas di scarico delle auto e nel carbone. Nello spazio, invece, sono presenti all’interno delle polveri contenute nel gas interstellare in prossimità di stelle giovani e massicce e sono coinvolte nei meccanismi di scambio energetico tra stelle e gas. Con il passare del tempo, queste molecole diventano sempre più grandi e formano nubi che permettono di regolare il riscaldamento e il raffreddamento del gas all’interno delle galassie. Grazie alle abilità di Webb nell’osservazione nell’infrarosso, gli scienziati hanno potuto distinguere i segnali provenienti dagli idrocarburi da quelli prodotti invece dai più massicci grani di polvere presenti in SPT0418-47, quella galassia lontanissima scoperta in precedenza utilizzando il South Pole Telescope della National Science Foundation. Vista dalla Terra, questa “città di stelle” si trova prospetticamente dietro un’altra galassia più vicina. La gravità della galassia in primo piano curva e distorce la luce di SPT0418-47, formando un cosiddetto “anello di Einstein” e rendendo l’oggetto retrostante circa 30 volte più luminoso e notevolmente ingrandito rispetto a quanto sarebbe altrimenti. Proprio grazie a questo effetto relativistico di lente gravitazionale, Webb ha potuto raccogliere dati su quella galassia incredibilmente distante. La sua luce è partita, infatti, in un’epoca in cui l’universo aveva meno di 1,5 miliardi di anni e ci fornisce perciò fondamentali informazioni circa i complessi processi chimici che riguardano la formazione stellare nell’universo neonato.
Gli astronomi ritengono che la presenza di idrocarburi policiclici aromatici sia associata a processi di formazione stellare, ma in alcune regioni di SPT0418-47 sono state trovate queste molecole in assenza di formazione stellare, mentre in altre stelle in formazione ma senza molecole di questo tipo. Quando l’Universo aveva solo il 10 per cento della sua età attuale, SPT0418-47 aveva già una massa simile a quella dell’odierna Via Lattea, con una quantità di carbonio e ossigeno formata dalle sue stelle paragonabile a quella presente oggi nella nostra galassia. La scoperta ha decisamente sorpreso gli studiosi, lasciando anche molti punti aperti: come può una galassia così giovane – già presente in un’epoca prossima al Big Bang – contenere queste molecole complesse, segno del fatto che generazioni di stelle hanno già completato il loro ciclo vitale? Molto probabilmente saremo costretti a rivedere gli attuali modelli di evoluzione cosmica, provando a comprendere più a fondo come si è formata la polvere e come ha plasmato le prime generazioni di stelle e galassie. Il primo autore dello studio, Justin S. Spilker, del Dipartimento di fisica e astronomia della Texas A&M University, ha dichiarato: “non vediamo l’ora di capire se è proprio vero che dove c’è fumo (idrocarburi policiclici aromatici, ndr) c’è fuoco (stelle attive, ndr). Forse saremo anche in grado di trovare galassie così giovani che molecole complesse come queste non hanno ancora avuto il tempo di formarsi nel vuoto dello spazio: galassie tutte fuoco e niente fumo. L’unico modo per saperlo con certezza è osservare altre galassie, possibilmente ancora più lontane di SPT0418-47”.
Scoperte come questa, pubblicata pochi giorni fa sulla rivista Nature, sono la testimonianza di ciò per cui il James Webb è stato creato: comprendere le prime fasi dell’Universo in modi nuovi ed entusiasmanti.

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