È stata ritrovata da un ricercatore dell’Università di Bergamo la lettera che Galileo scrisse all’amico Benedetto Castelli nel Dicembre del 1613. Era custodita nella biblioteca della Royal Society a Londra. In questa missiva, il grande scienziato aveva cercato di rendere meno sovversive agli occhi dell’Inquisizione le teorie astronomiche e cosmologiche che, di lì a vent’anni, gli costarono la condanna per eresia.
Quasi per puro caso, conducendo una ricerca su possibili commenti lasciati da studiosi inglesi del ‘600 sulle opere di Galilei, Salvatore Ricciardo, ricercatore post-doc presso l’Università di Bergamo, ha rinvenuto un documento di eccezionale importanza, conservato negli archivi della Biblioteca della Royal Society a Londra: una lettera autografa di sette pagine che Galileo Galilei scrisse all’amico Benedetto Castelli il 21 Dicembre 1613. La lettera era una sorta di manifesto sulla libertà intellettuale nella ricerca scientifica: in sostanza, lo scienziato esortava a non rimanere vincolati ai dogmi delle Sacre Scritture; era necessario infatti trascendere il loro significato letterale, interpretandone il linguaggio in modo allegorico.
Di questa lettera vennero realizzate molte copie, note agli storici della scienza, simili tra loro. Una di queste, però, differiva in modo sostanziale dalle altre per via dei suoi toni molto accesi e critici; tutt’ora conservata negli archivi segreti del Vaticano, finì sul tavolo dell’Inquisizione il 7 Febbraio 1615 per mano di frate Niccolò Lorini. Trattandosi di copie e non disponendo dell’originale, era decisamente arduo stabilire quale delle due varianti della lettera indirizzata a Castelli fosse stata scritta da Galileo. Storicamente si è sempre ritenuto che Lorini avesse contraffatto la lettera per cercare di inchiodare più facilmente Galilei, ma la recente scoperta dell’originale ad opera di Salvatore Ricciardo mostra che fu il pisano stesso a voler modificare ed ammorbidire le proprie posizioni, rivedendo alcune espressioni inizialmente ritenute troppo compromettenti. L’analisi del contenuto della missiva, considerata perduta ma conservata incredibilmente “alla luce del Sole”, potrebbe aiutare a fare chiarezza sui delicati e critici momenti iniziali di ciò che sarebbe poi divenuta una delle più celebri condanne per eresia.
Se vi siete appassionati a questo “giallo storico”, LOfficina del Planetario organizzerà prossimamente una serata con l’autore del ritrovamento. Continuate a seguirci!