Considerati un laboratorio unico per indagare le leggi della Fisica in condizioni estreme, gli AGN sono fari cosmici che permettono di studiare la geometria dello spazio-tempo fino ai confini dell’Universo osservabile. Il loro studio ha portato a preferire il modello cosmologico del Big Bang ad altri possibili modelli teorici.
Spesso vengono denominati i “mostri del cielo” per l’ospite particolare che nascondono al centro delle loro strutture. I nuclei galattici attivi sono oggetti celesti in grado di emettere un’enorme quantità di energia, che spazia su tutto lo spettro elettromagnetico, dalle onde radio ai raggi gamma, passando attraverso l’infrarosso, la banda visibile, i raggi ultravioletti e i raggi X. Poiché lo spettro nel radio ha mostrato che l’emissione è circoscritta a una zona relativamente piccola al centro della galassia, ciò ha fatto nascere il termine Nuclei Galattici Attivi (AGN – Active Galactic Nuclei).
La radiazione degli AGN è in grado di raggiungere la Terra anche da elevate distanze cosmologiche: comprendere questi oggetti è dunque fondamentale per aumentare le nostre conoscenze riguardanti la storia e la composizione dell’Universo. Per questo motivo, è stata molto importante la ricerca di un modello che potesse descrivere queste speciali galassie. Tale modello prevede che il motore che alimenta le loro potenti emissioni sia un buco nero supermassiccio in rotazione, ovvero dotato di massa compresa tra alcuni milioni e alcuni miliardi di volte la massa del Sole, che assorbe enormi quantità di materia circostante, il cosiddetto disco di accrescimento.
Nelle regioni centrali di ogni galassia si trova un buco nero supermassiccio, ma nella maggior parte dei casi, e vale anche per la nostra galassia, questi buchi neri sono in fase dormiente ed è molto difficile rivelarli. Ma da che cosa si origina una simile differenza? La questione è ancora aperta e molto dibattuta.
L’11 ottobre a LOfficina del Planetario il Prof. Roberto Nesci (INAF) ripercorrerà la storia della scoperta dei Nuclei Galattici Attivi, dalla identificazione dei primi Quasar negli anni ‘60 fino all’osservazione della loro emissione nei raggi X e Gamma coi telescopi spaziali. Sarà un’occasione per comprendere meglio questi oggetti e capire gli sviluppi futuri della ricerca nell’ambito dell’astrofisica delle alte energie.