Ancora protagoniste le costellazioni d’inverno.
di Davide Cenadelli
In febbraio sono ancora le costellazioni invernali a essere protagoniste. In generale, per ogni mese che passa, il cielo si presenta col medesimo aspetto due ore prima. Pertanto, le costellazioni invernali che in gennaio raggiungevano la culminazione dopo cena e fino in tarda serata, in febbraio anticipano di un paio d’ore e fanno bella mostra di sé verso sud tra le sette e le dieci di sera.
Le più appariscenti costellazioni invernali sono Orione, il Toro, l’Auriga, i Gemelli, il Cane Maggiore e il Cane Minore, ricchissime di stelle brillanti tra cui Sirio, la stella più luminosa del cielo notturno. Sirio appare così brillante perché è effettivamente 25 volte più luminosa del nostro Sole, ma anche piuttosto vicina: dista solo 8,6 anni luce, poco più di 80 mila miliardi di km, e ovviamente per “vicina” si intende vicina in senso astronomico. Molte stelle del cielo invernale sono in realtà molto più brillanti ma anche molto più lontane. Basti pensare, in Orione, a Rigel (distanza 860 anni luce, luminosità 120 mila volte il Sole) e le tre stelle della cintura tra cui quella centrale, Alnilam (d = 1.500 anni luce, L = 500 mila); nella vicina costellazione della Lepre ad Arneb (d = 2.200 anni luce, L = 32.000); nel Cane Maggiore alle stelle australi che appaiono basse sull’orizzonte anche in culminazione, e che portano i bellissimi nomi di Wezen (d = 1.600 anni luce, L = 82.000), e Aludra (d = 2.000 anni luce, L = 105.000). A formare un triangolo con queste due c’è Adhara, altro affascinante nome di origine araba, che però è più vicina e meno brillante: da 430 anni luce brilla “solo” 39.000 volte più del Sole.
Quando in una zona di cielo si assembrano molte stelle di altissima luminosità, si può stare certi che da quelle parti sono presenti zone nebulari. Infatti le stelle di alta luminosità hanno una grande massa (tra 10 e 40 volte quelle del Sole per le stelle menzionate), e tali stelle hanno tempi di vita più brevi di quelle di piccola massa, dato che brillano di una luminosità eccezionale e danno fondo alle proprie riserve energetiche più velocemente. La vita di queste stelle è di milioni o decine di milioni di anni, non miliardi come il Sole o migliaia di miliardi come le meno massicce tra le nane rosse. Quindi, le stelle di altissima luminosità non hanno mai tempo di allontanarsi molto dal luogo dove sono nate prima di terminare il loro ciclo vitale, per cui in loro prossimità si trovano le zone nebulari dove si sono formate.
Tra le molte nebulose presenti in queste zone di cielo, la più spettacolare è la Nebulosa di Orione o M42, a 1.350 anni luce da noi, di cui si riesce a vedere la parte centrale a occhio nudo con cielo terso e scuro, e che al telescopio mostra una complessa struttura. Le volute di gas di cui è costituita sono materia grezza che nel tempo forma nuove stelle, tra cui quelle visibili al suo interno a formare un piccolo trapezio, che insieme ad altre componenti più deboli formano l’Ammasso del Trapezio, costituto da stelle davvero nascenti: la loro età è stata stimata in soli 300 mila anni. La Nebulosa, se fosse interamente visibile a occhio nudo, apparirebbe più grande della Luna. Se si considera quanto dista, deve trattarsi di un oggetto davvero grande: infatti il suo diametro è di circa 25 anni luce. Significa che è enormemente più grande delle distanze tipiche del Sistema Solare. Se fossimo sul suo bordo, e volessimo lanciare una sonda per esplorarla, alla velocità delle sonde attuali ci vorrebbe mezzo milione di anni per attraversarla.
Tra tanto splendore che adorna le notti invernali, merita di essere menzionata anche una costellazione che non è molto appariscente, comprendendo solo stelle piuttosto deboli, ma contiene nebulose famose come la Nebulosa Rosetta e la Nebulosa Cono. Per la gioia delle giovani lettrici, si tratta della costellazione dell’Unicorno. Di tarda sera e in piena notte, invece, cominciano a mostrarsi le costellazioni primaverili come il Leone, che sorge già intorno alla prima serata, e poi Boote e la Vergine, con l’Orsa Maggiore che diviene col passare delle ore sempre più alta in cielo.
Tornando molto più vicini a noi da tali profondità siderali, dopo il tramonto a sudovest possiamo vedere Venere, sempre più alto, dato che sta aumentando la sua distanza in cielo dal Sole e in più sta anche percorrendo il ramo ascendente dell’eclittica.
Ma veniamo ora a
Sirius A and B.
NASA / ESA / G. Bacon (STScI)
LA STELLA DEL MESE: SIRIO
Sirio è una stella doppia. La componente principale, Sirio A, è la più brillante intrinsecamente, 25 volte il Sole, tra le stelle vicine. Ecco perché appare come la stella più luminosa del cielo. Dato che le stelle si muovono e le loro distanze cambiano, Sirio non è da sempre la stella più brillante e non lo sarà per sempre in futuro: fino a 90 mila anni fa era Canopo, ora seconda, e tra 210 mila anni lo diventerà Vega, ora quinta. Al momento, Sirio si sta avvicinando al Sole, e raggiungerà la minima distanza tra circa 60 mila anni, allorché la stella apparirà in cielo più luminosa del 20% di quanto appaia oggi.
Sirio A è una stella nana, come il Sole, ma due volte più massiccia e quasi due volte più grande. La sua temperatura superficiale di 9.950 K le conferisce un colore bianco-azzurrino. Sirio B invece è una nana bianca, un corpo molto meno luminoso di Sirio A e molto denso, con una massa pari al Sole compressa in una dimensione simile alla Terra. La densità media del gas degenere di cui è fatta Sirio B è di circa 2 tonnellate per centimetro cubo.
Da un punto di vista culturale, Sirio, data la sua luminosità, ha ovviamente giocato un ruolo di primo piano nel corso della storia. Stella principale della costellazione del Cane Maggiore, uno dei cani che accompagnavano Orione a caccia secondo la mitologia greca, è detta anche “Stella del Cane”. Gli antichi Egizi utilizzavano la levata eliaca di Sirio, ovvero la sua prima apparizione dopo il periodo di congiunzione con il Sole, come predittrice dell’imminente inondazione del Nilo. Oggi la levata eliaca di Sirio si colloca nella prima metà di agosto ma all’epoca, a causa della precessione degli equinozi, era intorno al solstizio d’estate. In epoca greca si pensava che la luminosità di Sirio, che oggi si trova in congiunzione col Sole in estate ma a quel tempo in tarda primavera, potesse portare sulla Terra la siccità, come se i suoi raggi rinforzassero quelli del Sole. E in effetti Sirio deriva dal greco Σείριος che significa “splendente” ma anche “bruciante”. I Romani ripresero queste concezioni e i giorni più caldi dell’anno vennero detti della canicola proprio a partire dalle supposte influenze di Sirio, la Stella del Cane, sul clima terrestre. Che certamente non esistono, ma questo non sminuisce il fascino di queste storie antiche. Godiamoci allora Sirio nel cielo invernale e, se avremo modo di osservarla di giorno con un telescopio nei giorni più caldi della prossima estate, sapremo a chi, secondo la fantasia degli antichi, potremo addebitare la canicola tipica di quel periodo.
Note sull’Autore
Davide Cenadelli, PhD, è ricercatore all’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta (OAVdA) dove si occupa, tra le altre cose, di didattica e divulgazione. All’Osservatorio Astronomico, nel corso di serate prefissate, è possibile partecipare a visite guidate notturne durante le quali, in caso di bel tempo, è possibile osservare, sotto la guida di Davide o colleghi, il cielo a occhio nudo e col telescopio, compresi alcuni degli oggetti sopra menzionati, o altri, a seconda della stagione.
Per informazioni sull’Osservatorio Astronomico e per prenotare una visita guidata diurna o notturna: http://www.oavda.it