Il 21 novembre la capsula Orion della NASA, lanciata cinque giorni prima dal Kennedy Space Center, ha effettuato il suo primo fly-by della Luna, aprendo un nuovo capitolo nella storia della conquista del nostro satellite naturale e dell’esplorazione umana dello spazio profondo.
Selfie della capsula Orion della NASA mentre si avvicina alla Luna. Credits: NASA/Flickr https://www.flickr.com/photos/nasaorion/52515584171/.
Si narra che i gemelli Apollo e Artemide, figli di Zeus e Leto, fossero arcieri infallibili. Forse è per questo che hanno entrambi legato i loro nomi, nella storia moderna, alla conquista del nostro satellite naturale. La precisione per arrivare lassù è d’obbligo perché, come disse una volta Buzz Aldrin, “la Luna è un proiettile da colpire con un altro proiettile”. Il programma Apollo scoccò bene le sue “frecce”, tant’è che sei andarono perfettamente a segno consentendo di realizzare altrettanti allunaggi. Chissà che anche Artemide riesca a stupirci e, per il momento, non c’è dubbio che lo stia facendo.
La sua prima “freccia” ha lasciato la Terra il 16 novembre scorso, data storica di inizio della missione Artemis I, la prima di un imponente programma spaziale che ha lo scopo di portare la prima donna e il prossimo uomo sulla Luna. Artemis I è un test di volo senza equipaggio necessario per mettere alla prova il nuovissimo lanciatore SLS (Space Launch System), erede del glorioso Saturn V, e la capsula Orion; inoltre, il test servirà per migliorare le nostre conoscenze in vista di future missioni umane di esplorazione dello spazio profondo. Dopo cinque giorni dal lancio, il 21 novembre 2022 la capsula Orion ha effettuato il suo primo fly-by della Luna. Uno step cruciale della missione che ha portato il veicolo spaziale a compiere un passaggio ravvicinato a soli 130 Km dalla superficie lunare. Sfruttando la gravità del nostro satellite, Orion si inserirà poi in un’orbita retrograda distante il prossimo 25 novembre e, il giorno successivo, infrangerà il record di distanza dalla Terra per un veicolo spaziale progettato per l’uomo, detenuto fino adesso da Apollo 13. Il 28 novembre, infatti, Orion raggiungerà la distanza di 432.194 Km dalla Terra.
Ma perché tornare sulla Luna dopo cinquant’anni esatti da quando Eugene Cernan, comandante di Apollo 17, tolse per ultimo il piede da lassù? Innanzitutto per testare i nuovi veicoli: il lanciatore SLS – il nuovo cavallo di battaglia della NASA, derivato dallo Shuttle – e l’altrettanto nuova capsula Orion, il veicolo che in futuro trasporterà gli astronauti. Inoltre, durante il volo gli ingegneri verificheranno i sistemi di comunicazione, propulsione e navigazione del veicolo spaziale. Orion dovrà tollerare con successo l’ambiente termico estremo dello spazio profondo e passare senza problemi, come già avvenuto in precedenza per le capsule Apollo, attraverso le fasce di Van Allen; verranno anche testati il motore principale della capsula e le ali del pannello solare. Infine, dovrà essere verificata l’efficienza del nuovo scudo termico di Orion, realizzato dalla Boeing, e dei sistemi di recupero una volta effettuato lo splashdown nell’Oceano Pacifico. Ma Artemis I farà anche scienza: il lanciatore porterà nello spazio, oltre alla capsula, anche una decina di CubeSat. Questi piccoli satelliti, grandi come una scatola da scarpe, acquisiranno dati utili ad aprire la strada alla futura esplorazione umana nello spazio profondo. Un manichino di nome Moonikin Campos occuperà il posto del comandante all’interno di Orion per fornire dati su ciò che i membri dell’equipaggio potrebbero sperimentare in volo. Il sedile del manichino sarà dotato di due sensori, uno sotto il poggiatesta e un altro dietro il sedile, per registrare l’accelerazione e le vibrazioni durante la missione. La tuta Orion Crew Survival System – che gli astronauti utilizzeranno durante il lancio, l’ingresso in atmosfera e altre fasi dinamiche delle loro missioni – indossata ora dal manichino sarà inoltre dotata di due sensori di radiazione. Gli altri due sedili saranno occupati da torsi di manichini fabbricati con materiali che simulano ossa umane, tessuti molli e organi interni di una donna adulta. Zohar e Helga, questi i nomi dei due torsi, saranno dotati di oltre 5.600 sensori passivi e 34 rilevatori di radiazioni. Zohar indosserà un giubbotto di protezione dalle radiazioni, chiamato AstroRad, mentre Helga no. I dati acquisiti saranno preziosi per monitorare i livelli di radiazioni ai quali gli astronauti verranno esposti nel corso delle missioni lunari. Infine, Orion trasporterà anche un carico biologico chiamato Biological Experiment-01; il suo obiettivo sarà quello di esaminare gli effetti prodotti da un ambiente ostile come lo spazio profondo, caratterizzato da radiazioni e microgravità, sugli organismi viventi. Le conoscenze fondamentali che acquisiremo ci aiuteranno a capire meglio come sopravvivere nello spazio profondo in vista delle future missioni su Marte.
Come avrete senz’altro capito, tutto servirà perché un giorno proveremo a vivere lontano dalla Terra e la Luna sarà il nostro avamposto nello spazio per la scoperta di altri mondi.