Alcune recenti ricerche, oltre a confermare in maniera diretta la presenza di acqua sulla Luna, hanno anche fornito importanti novità sulla sua origine e sulla sua distribuzione globale.
Si cominciò a pensare alla possibilità di acqua sulla Luna solo 20 anni dopo la fine delle missioni Apollo, con l’inserimento dei primi satelliti in orbita lunare polare. Il primo di questi satelliti fu Clementine-1, che osservò i poli lunari per 300 volte dal 19 Febbraio al 5 Maggio 1994: le prime mappe dettagliate di entrambi i poli mostrarono una moltitudine di crateri perennemente in ombra, quindi con temperature interne attorno a -200°C, una situazione resa possibile dalla modesta inclinazione dell’asse lunare (6°40’) sull’eclittica. Il sospetto che nei crateri lunari mai raggiunti dai raggi solari potessero albergare depositi di ghiaccio fu ravvivato dalla sonda polare Lunar Prospector (Gennaio – Luglio 1999) che, con il suo spettrometro per neutroni, evidenziò eccesso di Idrogeno (da acqua ghiacciata?) su entrambi i poli della Luna. Dieci anni dopo, con la missione indiana Chandrayaan-1 (Novembre 2008 – Agosto 2009), la presenza di acqua sulla Luna tornò prepotentemente d’attualità, grazie allo straordinario spettrometro M3 (Moon Mineralogy Mapper) che la NASA collocò a bordo della sonda indiana. Lo scopo era quello di riprendere tutta la superficie lunare a grande risoluzione nella regione 0,4-3 micron, dove cadono alcuni degli assorbimenti fondamentali del ghiaccio d’acqua. Inizialmente venne realizzata la prima mappa globale della Luna (C. M. Pieters, 2009) che mostrò il progressivo aumento verso le regioni polari (±60° Lat) dell’assorbimento allargato a 2,9 micron (tipico dei gruppi OH-H2O) (Fig. 1):
(Fig. 1) Questa mappa infrarossa ad alta risoluzione (140 metri), realizzata dallo strumento M3 (Moon Mineralogy Mapper) a bordo della sonda indiana Chandrayan-1 conferma la presenza di ghiaccio sulle regioni polari della Luna. Il falso colore blu è infatti relativo all’ assorbimento a 3 micron tipico del ghiaccio d’acqua e/o del radicale OH.
qui, ossia sui poli, venne stimata una presenza di OH (ovvero di H2O) tra 200 e 600 ppm (parti per milione). Una brillantissima conferma spettroscopica definitiva della presenza di ghiaccio (fino al 30%!) è venuta di recente (Shuai Li, 2018), grazie ad una’analisi statistica molto fine di spettri realizzati dallo strumento M3 all’interno di certi crateri nord-polari (Faustini, De Gerlache, Rozhdestvenskiy): in questa indagine, sono stati infatti evidenziati per la prima volta tre assorbimenti caratteristici del ghiaccio d’acqua (1,3-1,5-2 micron) (Fig. 2).
(Fig. 2) Lo strumento M3 è riuscito per la prima volta ad individuare le bande di assorbimento tipiche del ghiaccio in alcuni crateri nord-polari perennemente in ombra. L’interno di uno di questi crateri (Rozhdestvenskiy di 9 km) mostra, in esperimenti di Mini-RF, anche una CPR elevata (inversione di polarizzazione circolare in riflessione), altro chiaro indizio della presenza di ghiaccio.
Ma con grande sorpresa, M3 trovò riscontri della presenza di acqua anche a latitudini molto minori (fino a ±30° Lat) soprattutto sui terreni più antichi (ovvero meno rinnovati da impatti meteorici recenti): dai calcoli sembra che nell’ultimo metro di terreno lunare siano contenute totalmente circa 108 ton (cento milioni di ton) di acqua. Non meno sorprendente fu constatare che il tenore di acqua non polare (max 200 ppm) mostrava una netta variazione giornaliera.
Una volta stabilita con certezza la presenza di acqua lunare (ghiacciata ai poli, adsorbita nella regolite lunare a latitudini inferiori), diventava interessante capirne l’origine. Per la comprensione della genesi del ghiaccio polare lunare è stata fondamentale la doppia missione LRO (Lunar Reconnaissance Orbiter) – LCROSS (Lunar Crater Observation and Sensing Satellite) lanciata contemporaneamente il 18 Giugno 2009. LRO entrò in una bassa (50 km) orbita lunare polare il 23 Giugno 2009 (periodo = 2 ore): da qui confermò (radiometro DLRE, Diviner Lunar Radiometer Experiment) le bassissime temperature all’interno dei crateri sud-polari in ombra (con un record di -240°C all’interno di Cabeus) (Fig. 3)
(Fig. 3) In questa bellissima mappa termica della regione sud-polare lunare realizzata dallo strumento DLTR a bordo della sonda LRO, i toni di grigio sono proporzionali alle temperature. La temperatura più bassa (-240°C) si trova all’interno del cratere Cabeus, dove venne fatta impattare la sonda LCROSS il 9 Ottobre 2009.
e ri-misurò (spettrometro per neutroni LEND, Lunar Exploration Neutron Detector) il tenore di Idrogeno (quindi di acqua) che risultò presente non solo sui poli, ma anche un po’ dovunque a macchia di leopardo. LCROSS (sonda strumentata + missile Centaur), dopo una serie di orbite attorno alla Terra, fu diretto il 9 Ottobre 2009 contro il freddissimo Cabeus: mentre il Centaur colpiva la Luna, la sonda appena dietro misurava spettroscopicamente la natura dei materiali sollevati dall’impatto. Fu così possibile evidenziare, assieme all’acqua (5-10%) anche le bande della CO2 e del Metano (CH4): era la dimostrazione che, molto probabilmente, il ghiaccio polare della Luna è di origine cometaria. Era però importante poter fare anche un’indagine accurata sul numero dei crateri polari ricchi di ghiaccio. Questo è stato possibile grazie alla tecnica Mini-RF (miniature Radio Frequency) adottata in via sperimentale dalla missione Chandrayaan e in modo estensivo dal satellite MRO, con risoluzione di soli 30 metri (Spudis et al. 2013). In sostanza, il satellite lancia contro la superficie impulsi di radioonde a 12,6 cm polarizzate circolarmente in modo sinistrorso e registra la natura delle onde riflesse. Caratteristica del ghiaccio è quella di produrre una consistente inversione in senso destrorso nella polarizzazione riflessa (tecnicamente si parla di CPR, Circular Polarization Ratio). Tra 70 e 90° di latitudine il Mini-RF di Chandrayaan aveva individuato 35 crateri ‘sospetti’ al Nord (uno di questi è il già citato Rozhdestvenskiy) e 15 al Sud. A questi LRO ne ha aggiunti altri 43 al Nord e 28 al Sud, di dimensioni comprese tra 3 e 20 km (Fig. 4).
(Fig. 4) Mappa CPR dei crateri lunari nord-polari realizzata dalla sonda LRO in esperimenti di Mini-RF. Alti valori di CPR (colore chiaro) indicano una forte tendenza del terreno ad invertire in riflessione la polarizzazione circolare (destra o sinistra) di radioonde centimetriche inviate contro la superficie: un effetto tipico della presenza di ghiaccio in decine di crateri molto antichi (cerchi verdi). Invece in crateri giovani (cerchi rossi) gli ejecta interferiscono molto sull’interpretazione dei risultati.
Molto più complessa è stata la comprensione dell’origine dell’acqua lunare non polare, quella cioè che, in piccola quantità, è presente un po’ dovunque. A generarla sarebbe il Sole, secondo una ricerca (Liu et al., 2012) condotta su vari micro-campioni lunari parzialmente vetrificati da impatti (‘agglutinati’) provenienti dalle missioni Apollo. Un micro-spettrometro infrarosso ha rilevato nelle porzioni vetrificate l’assorbimento attorno a 3 micron del radicale OH, legato alla matrice silicatica e verosimilmente dovuto alla presenza di almeno 150 ppm di H2O. A questo punto, un micro-spettrometro di massa (nano-SIMS) ha misurato con assoluta precisione il rapporto D/H che è risultato bassissimo (~10-7), incompatibile con quello dell’acqua planetaria (sulla Terra D/H = 1,5×10-4) e simile a quello del vento solare (dove, per certe ragioni astrofisiche, il D è solo in tracce). Di conseguenza, il vento solare (costituito principalmente da protoni, ossia nuclei di Idrogeno) deve essere considerato come il principale artefice dell’idratazione delle rocce lunari superficiali, nel senso che riesce a spezzare alcuni legami dell’O col Si (Silicio), trasformando l’Ossigeno stesso in OH per l’aggiunta di un protone: verrebbero prodotti, in questo modo, 2 g/s di acqua.