Le difficoltà recentemente riscontrate nel lancio di Artemis I ci riportano indietro nel tempo, esattamente agli albori della conquista della Luna.
Il lanciatore SLS sulla rampa di lancio. Image credit: https://www.nasa.gov/press-release.
La missione lunare Artemis I non è partita il 29 agosto e non l’ha fatto nemmeno al secondo tentativo il 3 settembre. È un dato di fatto e fa parte del gioco. Non dovrebbe stupirci più di tanto, specialmente quando si deve testare qualcosa di completamente nuovo come il lanciatore SLS (Space Launch System). Fallire e imparare dai propri errori è il motore della conoscenza, perché la realtà è spesso molto più complessa di qualsiasi teoria. In fin dei conti, se si tratta di volare, è sempre stato così. Figuriamoci per la conquista della Luna: molti tentativi, errori, passi falsi, tragedie sono state necessarie per far sì che l’uomo potesse compiere una delle sue più grandi imprese.
La corsa alla Luna ebbe inizio il 17 agosto 1958, quando la neonata NASA e l’US Air Force tentarono di lanciare la sonda Able 1 (Pioneer 0). Fu però un totale fallimento, poiché il lanciatore Thor esplose 77 secondi dopo il decollo a circa 15 Km di quota, vanificando così ogni speranza di veder volare la prima navicella spaziale in assoluto progettata per abbandonare l’orbita terrestre e dirigersi verso la Luna. Non dimentichiamo che, solo otto mesi prima, gli stessi americani si erano resi protagonisti di un altro epocale fallimento: il lancio del loro primo satellite artificiale, il Vanguard TV3. Dopo soli due secondi dall’accensione dei motori, il razzo ricadde sulla piazzola di lancio, distruggendosi. Le cause di questo flop, trasmesso addirittura in diretta televisiva, non sono mai state del tutto chiarite.
Da quel momento in poi, escludendo tutte le missioni sovietiche con i loro successi e fallimenti, gli americani si trovarono di fronte una lunga strada da percorrere, irta di ostacoli e imprevisti, che alla fine li condusse alla gloria, non senza complicazioni, con la celebre missione Apollo 11.
Infatti, nemmeno Pioneer 1, 2 e 3 ebbero successo. La prima di queste sonde fu progettata per registrare gli impatti di micrometeoroidi, effettuare misurazioni del campo magnetico e delle radiazioni e ottenere un’immagine della superficie del nostro satellite. Durante il lancio, il secondo stadio del razzo Thor Able 1 si spense con 10 secondi di anticipo, fornendo una velocità insufficiente per sfuggire alla gravità terrestre e, di conseguenza, per raggiungere la Luna. Anche Pioneer 2 non centrò mai il suo obiettivo: infatti, il secondo stadio del lanciatore venne spento, a causa di un errore, prima del previsto. Inoltre, il motore del terzo stadio non entrò in funzione dopo la separazione, destinando la sonda a disintegrarsi nell’atmosfera terrestre dopo soli 42 minuti e 10 secondi dal lancio. A causa dell’esaurimento del propellente, un’interruzione prematura del funzionamento del motore principale si verificò anche per Pioneer 3. L’inconveniente impedì alla sonda di raggiungere la velocità di fuga, facendola precipitare e bruciare in atmosfera a 38 ore e 6 minuti dal lancio.
Dopo i fallimenti di Pioneer P-30/Able VA, Pioneer P-31/Able VB e Ranger 1 e 2, il 26 gennaio 1962 la sonda Ranger 3 avrebbe dovuto essere il primo oggetto americano a impattare sul suolo lunare, ma, a causa di un malfunzionamento nel sistema di guida, venne inserita in una traiettoria di trasferimento lunare con una velocità eccessiva. Grazie a una correzione di traiettoria eseguita da terra, la navicella riuscì comunque a dirigersi verso la Luna, ma la mancò di 36.793 Km, finendo in orbita eliocentrica senza riuscire a trasmettere a terra alcuna immagine. Fu Ranger 4 a trionfare, diventando la prima navicella spaziale americana a raggiungere la Luna, ma il 21 ottobre 1962 il suo successore, Ranger 5, non si fece trovare all’appuntamento con il nostro satellite naturale perché, per errore, l’alimentazione della sonda venne commutata da solare a batteria. Fu così che, dopo 8 ore di funzionamento, quest’ultima si esaurì, causando il conseguente spegnimento di tutti i sistemi. Proprio come capitò a Ranger 3, anche lei mancò la Luna passando a una distanza di 724 chilometri, entrando poi in orbita eliocentrica. Fu Ranger 7 nel luglio 1964 a interrompere una serie di ben 13 fallimenti consecutivi, diventando la prima missione lunare completa degli Stati Uniti ad avere successo. Inviò a terra, durante l’avvicinamento alla Luna, spettacolari immagini della superficie del nostro satellite.
Un altro esemplare insuccesso nell’epopea delle missioni lunari senza equipaggio fu quello di Surveyor 2. La sonda avrebbe dovuto posarsi morbidamente sulla superficie lunare, ma il 21 settembre 1966 uno dei tre propulsori non si accese per poter eseguire una correzione di metà rotta. Nonostante ben 39 ripetuti tentativi di azionare il motore, Surveyor 2 si diresse verso la Luna senza controllo e senza inviare dati a terra. Tutto si concluse con uno schianto sulla superficie del nostro satellite.
Con il programma Apollo già avviato, Surveyor 4 portò a un altro insuccesso il 17 luglio 1967, quando, ad appena due minuti e mezzo dall’allunaggio, non riuscì più a comunicare con il controllo di missione. La NASA ipotizzò che il retro-razzo a propellente solido utilizzato per la fase di discesa potesse essere esploso, distruggendo il veicolo.
Anche per le missioni lunari con equipaggio la strada da percorrere iniziò in salita. Basti infatti pensare al tragico incidente di Apollo 1. La missione, che non volò mai, era prevista per il 21 febbraio 1967, ma il 27 gennaio, durante un test sulla rampa di lancio, divampò un incendio all’interno del modulo di comando che causò la morte dei tre astronauti dell’equipaggio: Virgil “Gus” Grissom, Edward White e Roger Chaffee. Dopo l’incidente, la capsula Apollo fu quasi completamente riprogettata per essere resa più sicura. Solo tre anni più tardi, Apollo 13 ricordò a tutti ancora una volta che non esiste routine nell’esplorazione spaziale: quella che all’inizio sembrava essere una normale missione, nel giro di un paio di giorni si trasformò nella più drammatica delle avventure, capace di lasciare con il fiato sospeso il mondo intero. Fu “il maggior fallimento di successo” dell’astronautica e la missione lunare più famosa dopo Apollo 11.
Per concludere, ricordiamo che in epoca molto recente abbiamo assistito a un altro clamoroso fallimento nel raggiungere la Luna. L’11 aprile 2019, il lander israeliano Beresheet si schiantò sul suolo lunare a causa di un guasto al propulsore durante la fase di discesa.
“Space is hard”, se ancora fosse necessario ribadirlo.