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Quando lo spazio si tinse la prima volta di rosa: l’avventura di Valentina Tereškova

Il 16 Giugno 1963, a bordo della capsula Vostok 6, Valentina Tereškova fu lanciata in orbita terrestre, diventando, a soli ventisei anni, la prima donna in assoluto nello spazio. La sua impresa ebbe un enorme impatto propagandistico, sociale e ideologico, oltre ad essere un vivido esempio di emancipazione femminile.

di Andrea Castelli

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Image credit: https://www.corriere.it

E fu così che un giorno l’immensa oscurità del cosmo accolse un invisibile puntino rosa: era una donna, la prima in assoluto, e si chiamava Valentina Tereškova. Connazionale del celebre Yuri Gagarin, primo essere umano nello spazio il 12 aprile 1961, la Tereškova compì un’impresa pionieristica che contribuì a rivalutare fortemente il ruolo delle donne nella scienza.
Nata il 6 marzo 1937 nel villaggio russo di Maslennikovo, nei pressi di Yaroslavl, da famiglia bielorussa non abbiente, Valentina Vladimirovna Tereškova ebbe un’infanzia difficile dovuta alla prematura scomparsa del padre, carrista deceduto durante il secondo conflitto mondiale. Tenace e caparbia, da giovane lavorò in una fabbrica che produceva pneumatici e successivamente in una produttrice di fili da cucito in qualità di sarta e stiratrice. Questa vita un po’ anonima venne stravolta da una sua grande passione, quella per il paracadutismo, che le aprì poi la strada al volo spaziale. La Tereškova compì il suo primo lancio con il paracadute, ad insaputa della madre, nel 1959, all’età di 22 anni, e nei tre anni successivi acquisì una grande esperienza in questo campo ottenendo infine il brevetto di paracadutista. Nel febbraio del 1962, decise di presentarsi, insieme ad altre quattrocento donne, alle selezioni per diventare una cosmonauta, forte della sua determinazione e delle competenze e abilità con il paracadute. Infatti, dopo l’eroica impresa di Yuri Gagarin, del quale Valentina era una grande ammiratrice, il governo sovietico autorizzò la selezione di tirocinanti cosmonaute con l’intento di conquistare anche il primato della prima donna nello spazio. Vennero selezionate, tra tutte le partecipanti, cinque donne: Tatyana Kuznetsova, Irina Solovyova, Zhanna Yorkina, Valentina Ponomaryova e Valentina Tereškova. Il gruppo dovette sottoporsi per diversi mesi ad un duro programma di addestramento che prevedeva test di isolamento, sessioni in centrifuga per adattare il corpo alle forti accelerazioni e alle sollecitazioni di un volo spaziale, oltre un centinaio di lanci con il paracadute, voli parabolici per ricreare le condizioni di assenza di peso e, infine, molta teoria sul volo spaziale. Un requisito determinante ai fini del superamento delle selezioni fu proprio l’esperienza di paracadutismo: a quel tempo, nelle fasi finali del rientro in atmosfera delle capsule spaziali, il cosmonauta doveva paracadutarsi dal veicolo e atterrare autonomamente. Nel novembre del 1962 Valentina e altre tre candidate superarono gli esami finali e vennero nominate luogotenenti dell’aeronautica sovietica.
Inizialmente fu prevista una missione spaziale che avrebbe coinvolto due donne nel programma “Vostok” (Oriente), ma questo piano fu presto cambiato nel marzo del 1963. Infatti, per il volo della Vostok 5, fu scelto un cosmonauta maschio, Valerij Bykovsky, che avrebbe dovuto volare in missione con una donna a bordo invece della Vostok 6. Le autorità spaziali russe scelsero proprio Valentina Tereškova per questo volo congiunto.
Dopo aver assistito al lancio della Vostok 5 due giorni prima, il grande momento per lei arrivò il 16 giugno 1963 alle ore 12:29 di Mosca, quando il vettore Soyuz decollò dal cosmodromo di Bajkonur, nell’attuale Kazakistan, portando in orbita Valentina all’interno della capsula Vostok 6. Nessun problema al lancio e così, in poche ore, Vostok 6 si mise in contatto radio con Bykovsky, a bordo di Vostok 5: era la seconda volta che due veicoli spaziali con equipaggio si trovavano contemporaneamente nello spazio. Con codice di chiamata “Chaika” (gabbiano), Valentina divenne la prima donna nello spazio a soli 26 anni, infrangendo il record di Gagarin, che nello spazio andò a 27 anni. Una volta in orbita, eseguì diversi esperimenti ed attività, tra le quali alcuni scatti fotografici, l’aggiornamento del giornale di bordo e parecchi test per raccogliere dati sulle reazioni del proprio corpo al volo spaziale. Parlò inoltre via radio con Nikita Kruschev, segretario generale del partito comunista sovietico. La sua straordinaria impresa durò poco meno di tre giorni e, compiendo ben 49 orbite attorno al nostro pianeta, trascorse in una sola volta (e unica) più tempo in volo di tutti gli astronauti americani del programma “Mercury” messi insieme, diventando anche il primo civile a volare nello spazio. Rientrò il 19 giugno 1963 toccando il suolo terrestre appesa ad un paracadute, dopo essersi eiettata dalla capsula.
Ma quello che venne celebrato dai media del tempo come un altro grande successo della tecnologia sovietica, segno di indiscussa supremazia nei confronti dei rivali americani, rischiò invece di passare alla storia come una terribile tragedia. Per oltre trent’anni venne mantenuto il silenzio su alcuni gravi problemi relativi al volo di Valentina. Pochi minuti dopo l’ingresso in orbita, la Tereškova si accorse che la capsula era in una posizione anomala rispetto a quella prevista e rischiava di perdersi nello spazio. Fu ufficialmente dichiarato che la manovra di riallineamento venne eseguita dai tecnici a terra, poiché Valentina era in condizioni di forte stress psicologico che le avrebbero impedito di operare correttamente. Al secondo giorno di missione, Valentina iniziò a vomitare, non si sa se per il “mal di spazio” o per via del cibo; durante il pomeriggio di quello stesso giorno, accusò anche un forte dolore alla gamba destra che si aggiunse a quello provocato dal casco, che premeva su una spalla. È proprio in queste condizioni limite che la Tereškova dovette affrontare la delicatissima fase del rientro che si rivelò di lì a poco anch’essa drammatica. Una volta eiettatasi fuori dalla capsula, Valentina capì che sarebbe potuta atterrare in un lago; fortunatamente il vento le venne in aiuto, sospingendola sopra la terraferma. Toccato violentemente il suolo, si procurò una ferita al viso a causa dell’urto con un frammento metallico e un grosso e vistoso livido al naso. Finì in ospedale, ma – appena si riprese – venne nuovamente condotta nella zona del suo rientro per rigirare le scene dell’atterraggio, sfoggiando un sorriso smagliante: per l’onore del governo sovietico, l’impresa della prima donna nello spazio doveva essere necessariamente trionfale.
Oltre a sfarzose parate, svariati premi e onorificenze, il governo le dedicò anche un francobollo commemorativo nel 1963 e l’azienda sovietica Belomo, dal 1965 al 1974, produsse una linea di apparecchi fotografici denominata “Chaika”, in onore del suo codice di chiamata durante la missione. Infine, a perenne memoria della sua eroica impresa – che ebbe un enorme impatto sociale, propagandistico e ideologico – un cratere lunare situato sul lato nascosto del nostro satellite, nelle vicinanze del Mare Moscoviense, porta il suo nome dal 1970.

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