I festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario del primo sbarco sulla luna entrano sempre più nel vivo.
di Marco Milano
Theatrical release poster
Per ricordare la storica missione spaziale che ha consentito al comandante Neil Armstrong, insieme ai piloti Buzz Aldrin e Michael Collins di raggiungere il Mare della Tranquillità il 20 luglio del 1969, sono tantissime le iniziative previste nei prossimi mesi a livello internazionale, coinvolgendo istituzioni scientifiche, culturali e artistiche di diverso tipo. In Italia, per esempio, da un connubio originale tra l’Agenzia Spaziale Italiana e la Fondazione Musica e Cinema per Roma, è nata “Apollo 11 Reloaded”, composizione musicale dedicata all’evento.
Nel corso di questi cinque decenni, sono stati tantissimi i prodotti culturali e artistici dedicati alla Luna e alla straordinaria missione Apollo. Libri, mostre fotografiche, film, canzoni, serie televisive, documentari, e, anche, improbabili studi e inchieste per smascherare quello che in realtà sarebbe stato solo un grosso inganno. Semmai ce ne fosse stato bisogno, l’ultimo film dedicato al tema contribuisce a dare un altro duro colpo al filone del complottismo all’allunaggio. Si tratta di “Apollo 11”, diretto da Todd Douglas Miller presentato in anteprima a gennaio al Sundance Film Festival a Park City e uscito lo scorso 7 marzo anche in Italia. Per i cinefili e, soprattutto, per gli appassionati, per gli esperti o semplici curiosi della storia della corsa allo spazio – che magari hanno già visitato lo spettacolo “The Moon” al Planetario di Milano – la visione di “Apollo 11” è imperdibile.
Un balzo indietro nel tempo, con occhi diversi
Come suggerisce inequivocabilmente il titolo, il film racconta la missione Apollo 11, coprendo in particolare nove giorni, subito prima il lancio a Cape Canaveral e subito dopo l’ammaraggio del modulo di comando nell’Oceano Pacifico, oltre che durante il viaggio, ovviamente.
Non si tratta certo della prima ricostruzione di quei fatidici giorni del luglio 1969 – i cinefili più attenti avranno ancora davanti agli occhi le immagini di “First Man _ Il primo uomo” (2018), con Ryan Gosling nei panni di Neil Armstrong. Tuttavia, “Apollo 11” ha qualcosa in più da offrire al racconto dello sbarco sulla Luna. La novità più interessante è che si possono gustare filmati originali NASA recuperati da 165 bobine in formato 70 mm, finora inediti e mai utilizzati, recuperati grazie alla collaborazione con la National Archives and Records Administration (NARA) – l’agenzia governativa indipendente istituita per la conservazione di documenti governativi di importanza storica, oltre che nazionale. Questi materiali vengono alla luce solo oggi non perché si tratti di materiale secondario o di scarto e di minor effetto, anzi. L’eccezionale lavoro di recupero ha infatti aperto una prospettiva nuova e molto interessante, meno retorica e celebrativa di quella architettata nelle settimane subito successive all’allunaggio.
Il regista, Todd Douglas Miller, ha alle spalle un altro film di particolare valore documentaristico nato da un progetto simile, “The last Steps” (2016), ovvero il resoconto dell’ultima missione dell’Apollo 17. Già in quella occasione Miller ha avuto il privilegio di lavorare con il prezioso patrimonio degli archivi NASA.
Per quest’ultimo progetto, tutta la produzione sembra tuttavia essersi superata, potendo peraltro contare su oltre 11mila ore di registrazioni audio delle comunicazioni interne alla NASA e tra la “Mission control” e gli astronauti in viaggio. Per rendere l’idea del valore di questi documenti, basti pensare che per trasportarli in tutta sicurezza dalla sede del NARA a Washington agli studi di post-produzione a New York sono stati utilizzati mezzi di trasporto e misure di controllo tipici di materiali militari o di transazione di oro e contante. Queste straordinarie registrazioni visive e audio hanno inoltre valso agli astronauti e ad altri protagonisti della missione l’iscrizione onoraria alla American Society of Cinematographers.
Cosa si può vedere nei 93 minuti di “Apollo 11”?
Ci sono quattro momenti salienti in cui è diviso il racconto: si può assistere ai preparativi e al lancio, l’arrivo di Aquila sul suolo lunare, la ripartenza e l’arrivo a terra, il recupero e il tour dei festeggiamenti. Tutte scene ben note e impresse nella memoria, certo, ma riaggiornate per l’occasione da angolazioni alternative. Perfino la discesa di Neil Armostrong dal modulo non è la stessa a cui siamo tutti abituati, bensì rivista attraverso una delle finestre del modulo appena sbarcato.
In realtà, non si tratta di un vero e proprio racconto, o comunque non come gran parte del pubblico potrebbe pensare e aspettarsi. Tutto qui è lasciato alla potenza delle immagini originali, senza tagli e montaggi “invasivi”, senza interviste o altri filmati di complemento. La visione è interrotta al massimo da sporadiche didascalie in sovrapposizione ed è guidata solo dal commento sonoro composto da Matt Morton, che con sintetizzatori elettronici dell’epoca ha realizzato un vero e proprio omaggio al sound dell’America Woodstockiana e a certe sinfonie psichedeliche che avrebbero accompagnato poi “2001 – Odissea nello spazio” di Stanley Kubrick, per esempio.
La scelta di uno stile sobrio, senza nessuna invadenza esterna, dà così spazio a un protagonista potente, finora, anche lui, trascurato: lo sguardo e la testimonianza umana, in particolare quella delle centinaia di migliaia di persone accorse sulla spiaggia di Cape Canaveral per assistere al lancio, circondate e caratterizzate da tutti i dettagli e gli oggetti del quotidiano di quei giorni; quella delle voci dei responsabili del controllo missione, delle battute scambiate dagli astronauti in volo e con la base, e raramente sfruttate nell’immaginario documentaristico sulla corsa alla Luna .
Dopo mezzo secolo, questo dietro le quinte così potente rappresenta un’esperienza davvero straordinaria, che catapulta nel presente la storia di quei nove storici giorni di luglio. Forse cinquanta anni fa il pubblico non era ancora pronto per filmati di questo tipo, su tutto dominava la curiosità di poter finalmente vedere lo spazio, la Luna e la nostra casa da lontano. “Apollo 11” ci svela e mette a fuoco quella curiosità, negli sguardi rivolti al cielo a Cape Canaveral. Il film diventa così anche uno spaccato della società americana di fine anni ‘60, innamorata dello spazio così come il resto del mondo.
Ma, a pensarci bene, “Apollo 11” ci parla di un amore che continua ancora oggi.