Astronomia e musica in dialogo
Il 23 maggio 2020 sarebbe dovuto andare in scena l’ultimo concerto della rassegna “Musica e Scienza” dell’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi. Io e il direttore Ruben Jais ci saremmo alternati per spiegare le notevoli affinità tra questi due ambiti che nei mesi passati avevamo scoperto e studiato. Purtroppo, il concerto è stato annullato a causa dell’epidemia e la curiosità di chi sarebbe venuto a sentirci è dovuta rimanere digiuna e insoddisfatta. Così è nata l’idea di scrivere un breve testo riguardo al nostro programma, indicando alcuni dei nodi concettuali fondamentali e delle musiche che l’orchestra avrebbe eseguito, nella speranza che possiamo tutti tornare a sentirle dal vivo al più presto.
Simone Iovenitti
Sappiamo che l’universo è decisamente cambiato dal tempo in cui nacque. Lo abbiamo spiato durante le sue fasi di vita, non solo per soddisfare la nostra sete di conoscenza, ma anche per verificare se le leggi che conosciamo sono sempre state valide nel corso del tempo. Abbiamo capito però, che non è solo il tempo la dimensione nella quale evolvono, ma c’è anche lo spazio. A un medesimo istante fissato, la realtà può apparire completamente diversa se consideriamo il nucleo di un atomo o quello di una galassia: osservare la Natura a scale diverse mostra la sua evoluzione nello spazio, oltre che nel tempo. Se “niente è per sempre” viene spesso da dire, “niente è dovunque” andrebbe subito aggiunto: le due qualità dello spazio e del tempo viaggiano sempre di pari passo. Questo è l’unico approccio corretto allo studio e alla comprensione del cosmo, ed è lo spirito con cui considereremo nel seguito tre passi importanti della sua evoluzione. Ci accorgeremo però che le parole da sole fanno fatica a descrivere gli avvenimenti che le equazioni ci hanno per prime mostrato. Serve spesso un’acuta intuizione, alla quale può venire d’aiuto una rappresentazione visiva come uno schema o un disegno. Nel caso di questo articolo, l’unico sostegno è costituito dalla musica: un elemento fondamentale per la comprensione del testo, e forse anche dell’intero universo.
Protone composto di due quark up e uno down e i gluoni che mediano le forze che li temgono insieme.
Esiodo scrisse che in principio, era il caos. Di certo, non poteva sapere che la fisica nucleare gli avrebbe definitivamente dato ragione, qualche millennio più tardi. Infatti, le leggi naturali che conosciamo descrivono un universo primordiale in cui tutte le particelle fondamentali sono deconfinate, ovvero libere dalle configurazioni stabili nelle quali si trovano assemblate oggi. Queste particelle sono i quark e i gluoni, che oggi costituiscono rispettivamente i componenti dei nuclei atomici e delle forze che li tengono assieme. Ad esempio, il nucleo di un atomo di elio è formato da due protoni e due neutroni: quattro particelle formate ciascuna da tre quark, che restano legati scambiandosi gluoni. Nell’universo primordiale, non solo l’atomo di elio non esisteva ancora, ma nemmeno i suoi quattro componenti nucleari, poiché i quark erano slegati e dispersi in un plasma omogeneo ad altissima temperatura e densità. L’espansione cosmica ha poi creato le condizioni per cui questo magma omogeneo si è raffreddato e le particelle sono cadute negli stati legati all’interno degli atomi. È come se ogni tassello di un puzzle fosse andata al suo posto. Come se ogni strumento scordato si fosse infine intonato. Come se da un accordo dissonante le note si fossero allontanate lungo frasi armoniche ed equilibrate, che è esattamente ciò che succede nella sinfonia Les Elements di Rebel. Il componimento si apre con un lungo e terribile unisono, inquietante e vorticoso, senza equilibrio né ritmo. Una matassa sonora primordiale, da cui però, lentamente, gli strumenti si dipanano e riorganizzano le loro voci a formare una materia, armonica e ritmica, simile a quella che noi conosciamo: sono nati finalmente gli atomi.
A SOHO image of the sun taken in extreme ultraviolet wavelengths (17.1nm)
Dal punto di vista osservativo, studiare l’universo neonato significa guardare i segnali più lontani nel tempo che esistono, i quali sono inevitabilmente anche i più estesi nello spazio: i primi che hanno iniziato a propagarsi. È questo il caso della luce che si è disaccoppiata dalla materia non appena la densità del plasma primordiale è diminuita abbastanza da lasciarla filtrare. Questa luce è visibile ancora oggi, permea tutto l’universo e prende il nome di Radiazione Cosmica di Fondo (CMB). Dopo questo segnale però, non vediamo più nulla per centinaia di milioni di anni: l’universo era diventato buio. Gli atomi si erano formati, ma non vi era modo che potessero emettere luce nell’universo in espansione e raffreddamento. Perché il cosmo si illumini ancora bisogna attendere che la gravità porti la materia ad addensarsi di nuovo, formando oggetti in grado di compiere reazioni nucleari: questo è ciò che avvenne con la nascita delle prime stelle. Non è bastato dunque che la materia si sia venuta a formare, è servito che questa si organizzasse in strutture. La musica presenta esattamente la stessa dinamica: non basta che gli strumenti eseguano note in armonia, per avere una sinfonia serve che la successione dei suoni sia organizzata in una struttura precisa. Ci sono canoni e forme da rispettare, come nel caso dell’Overture Francese, che potete ascoltare nella splendida Zaïs di Rameau. Ogni tipo di componimento ha le sue regole, che il direttore sa riconoscere e spiegare, così come ogni tipo di stella ha le sue caratteristiche, che l’astrofisico prova almeno ad interpretare.
Vojager Golden Record Credit-NASA JPL-Caltech
Il percorso nelle dimensioni dello spazio e del tempo, che ha guidato i nostri ragionamenti musicali e scientifici, non poteva che concludersi nella dimensione dell’uomo. Dopo la vastità della radiazione di fondo e delle stelle delle prime galassie, ci fermeremo un istante sui minuscoli pianeti. Dopo l’antichità dell’universo e delle strutture millenarie, ci ricorderemo alla fine degli effimeri uomini. Granelli di universo divenuto cosciente, siamo irrimediabilmente curiosi di studiare la realtà nei dettagli, ma forse anche di reclamare il nostro posto nel cosmo. Sarà per questo che oltre a raffinati strumenti scientifici abbiamo lanciato nello spazio profondo alcune tracce di noi stessi. È il caso delle sonde Voyager, a bordo delle quali c’è un disco con le informazioni per raggiungere il nostro pianeta e per conoscere i suoi abitanti: sentire le nostre voci, ascoltare la nostra musica. Già, abbiamo lanciato alcune sinfonie musicali nel cosmo. Una di queste è la Sagra della Primavera di Stravinsky, opera di grande ingegno ed espressività emotiva, giusto per testimoniare forse che almeno queste due doti, sul nostro pianeta, non mancano di certo.