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Borexino fa luce sulle Stelle

L’esperimento Borexino nei Laboratori nazionali del Gran Sasso ha rilevato i neutrini prodotti nel Sole dal ciclo carbonio-azoto-ossigeno.

di Marco Giammarchi-Istituto di Fisica Nucleare (Milano)

Una lunga storia.

L’inizio del secolo scorso sarà ricordato come un’età d’oro della conoscenza umana. Malgrado eventi storici luttuosi e drammatici, pochi periodi nella storia hanno portato una tale innovazione nella conoscenza e nel nostro modo di vedere il mondo. Relatività e Meccanica Quantistica, nate proprio in questo periodo, sono rivoluzioni concettuali di portata straordinaria. Le loro implicazioni e ramificazioni sono state tantissime e tra queste la nascita della Fisica Nucleare. Con la scoperta del neutrone, nel 1932, è nato il modello di atomo e di nucleo che studiamo ancora oggi a scuola; ed è nata la possibilità di comprendere un mistero straordinario. Il mistero del Sole.

Agli inizi del secolo scorso la longevità del Sole poneva problemi molto seri alla fisica, alla geologia e alla paleontologia: non si comprendeva come mai la nostra stella potesse vivere tanto a lungo da permettere trasformazioni lente come le erosioni geologiche, la deriva dei continenti o l’evoluzione delle specie viventi. Furono Hans Bethe e Carl von Weiszqcker nel 1938 i primi a ipotizzare che la soluzione del puzzle avesse a che fare con la nuova scienza della Fisica Nucleare. Veniva così formulata l’ipotesi chiave per comprendere il funzionamento del Sole, quella che si trattasse di un reattore a fusione nucleare.

E così in quegli anni le idee e i lavori di Bethe, Salpeter, Opik, von Weiszacker e Hoyle permisero di ipotizzare l’esistenza di due catene di reazioni nucleari, grazie alle quali il Sole (e le altre stelle stabili) producono energia. Si tratta di due cicli di trasformazioni di fusione di idrogeno in elio: il ciclo protone-protone e il ciclo CNO (Carbonio, Azoto, Ossigeno). Tali cicli energetici hanno luogo al centro della stella, resi possibili dalla temperatura che raggiunge i dieci milioni di gradi.

Per quanto questa ipotesi fosse generalmente accettata dalla comunità scientifica, è bene ricordare che non se ne aveva alcuna evidenza sperimentale diretta. La luce che ci proviene dal sole viene infatti dagli strati esterni (dove la temperatura è circa 6000 gradi) e impiega molti anni (circa centomila!) a propagarsi dal centro del Sole alla sua superficie. Come si è potuto allora andare a scoprire il Sole nei suoi segreti più intimi? Fino a comprendere il funzionamento del suo nocciolo? La risposta si è potuta trovare grazie ad una particella elementare davvero singolare: il Neutrino.

Neutrini e Stelle

La scoperta e la storia del Neutrino è una delle più affascinanti della Fisica Moderna. Ipotizzato da Wolfgang Pauli (esattamente 90 anni fa, il 4 Dicembre 1930!), battezzato da Enrico Fermi ed Edoardo Amaldi (neutrino, dall’italiano “piccolo neutrone”) fu osservato per la prima volta solo nel 1956. E da allora ha costituito argomento e materia di studio da parte di generazioni di fisici, da Bruno “Maximovich” Pontecorvo (il primo a ipotizzarne l’oscillazione) fino ai giorni nostri.

L’aspetto rilevante per la nostra storia è il fatto che i Neutrini vengono emessi proprio dalle reazioni termonucleari che avvengono al centro del Sole. E, a differenza delle altre particelle, possono uscire immediatamente dalla stella e (in otto minuti!) raggiungere i rivelatori situati a Terra. Studiare quindi i cosiddetti “Neutrini Solari” è un mezzo per essere in “comunicazione diretta” con il centro stesso del Sole.

L’idea di costruire un rivelatore sensibile ai neutrini provenienti dal Sole venne per primo a Ray Davis, ispirato dal suo grande amico, il fisico teorico John Bahcall. Situato in una miniera in South Dakota, il famoso “Esperimento di Davis” fu il primo a rivelare una anomalia proprio tra il numero di neutrini previsti e quello dei neutrini osservati. Nasceva quello che, per decenni sarebbe stato il “Problema dei Neutrini Solari”.

La soluzione del problema dei neutrini solari (ovvero della mancanza di un certo tipo di neutrini) poteva risiedere proprio nelle proprietà del neutrino stesso, e delle sue oscillazioni – come ipotizzato da Pontecorvo, oppure nell’avere sbagliato qualcosa nel modello astrofisico solare. Astrofisici e fisici delle particelle, dopo trent’anni di studi ed esperimenti hanno risposto in modo molto chiaro: il Neutrino oscilla. Quindi, probabilmente il modello astrofisico del Sole era corretto.

Borexino

Tra gli esperimenti concepiti per risolvere il “Problema dei Neutrini Solari”, Borexino è uno di quelli installati al Laboratorio Nazionale del Gran Sasso. Questo laboratorio, che appartiene all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, è uno dei più grandi al mondo per lo studio dei neutrini solari e di altri processi rari come il Decadimento Doppio Beta o la Materia Oscura.

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Al centro del rivelatore Borexino, le sfere di nylon racchiudono lo scintillatore usato per osservare i neutrini solari. La sfera più interna ha un diametro di oltre 8 m.

Borexino, la cui idea originale è dovuta al compianto Raju Raghavan, venne ideato alla fine degli anni ’80. Si è trattato di una sfida tecnologica formidabile: costruire, nelle caverne sotterranee del Gran Sasso, un rivelatore la cui massa sensibile fosse di 280 tonnellate di scintillatore liquido. Inoltre tale materiale doveva trovarsi in condizioni straordinarie di radiopurezza, in quanto ogni forma di radioattività ambientale avrebbe simulato la presenza dei neutrini solari.

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I 2200 fotomoltiplicatori installati su una sfera di acciaio sono gli “occhi” di Borexino, indispensabili per vedere gli effetti delle interazioni dei neutrini solari.

La costruzione di Borexino, sotto la direzione di Gianpaolo Bellini, si è protratta per oltre quindici anni, ed il rivelatore ha iniziato ad essere operativo nel 2007. In quel momento la problematica delle oscillazioni del neutrino era già sostanzialmente risolta e ci si è potuti dedicare alla nuova frontiera della comprensione dell’astrofisica del Sole. Così nel corso degli anni, Borexino ha cominciato a misurare molte delle componenti del ciclo protone-protone, giungendo infine nel 2014 alla prima misura in tempo reale delle reazioni primarie di fusione protone-protone e protone-elettrone-protone. Il ciclo protone-protone, responsabile della produzione del 99% dell’energia solare era così stato dimostrato.

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Borexino visto da fuori. Si vede l’isolamento termico che è stato necessario per la rivelazione del CNO, garantendo una maggiore stabilità al rivelatore.

Tuttavia mancava l’ultimo pezzo del puzzle, la dimostrazione dell’esistenza del ciclo CNO. Anche se nel caso del Sole questo ciclo ha importanza minore, siccome la sua efficienza dipende fortemente dalla temperatura, esso diviene dominante per stelle più massicce della nostra. Combinati insieme, i cicli pp e CNO spiegano sostanzialmente il funzionamento di tutte le stelle della Sequenza Principale del Diagramma di Hertzprung-Russell, contenente il gruppo maggioritario delle stelle stabili dell’Universo.

Questa l’ultima impresa di Borexino, coronata proprio nel corso del 2019 e del 2020 e culminata con la pubblicazione su Nature della dimostrazione sperimentale del ciclo CNO. Si è trattato di una impresa particolarmente difficile, proprio perché nel caso del Sole questo ciclo è poco visibile ed importante e questa osservazione, presentata da Gioacchino Ranucci alla conferenza Neutrino 2020 a Chicago in Giugno, ha impegnato noi, 100 fisici della collaborazione internazionale Borexino, nel corso di uno sforzo durato anni.

Giunti ormai alla fine della lunga storia di Borexino, penso che sia bello poter dire, 80 anni dopo la loro proposta, che Bethe e von Weiszacker avevano ragione. E che tutto questo ci permette di guardare al cielo stellato con occhi nuovi.

Per saperne di più: Experimental evidence of neutrinos produced in the CNO fusion cycle in the Sun.

Note sull’Autore
Marco Giammarchi è Primo Ricercatore dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), abilitato Professore Ordinario e titolare del corso di Fisica delle Particelle all’Università degli Studi di Milano. É stato Guest Scientist al Fermilab di Chicago e all’Albert Einstein Center di Berna. Ha svolto esperimenti al Fermilab, a Louvain-la-Neuve, al Gran Sasso e in Argentina. Attualmente dirige il gruppo di ricerca sull’Antimateria dell’Università e dell’Infn di Milano.

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