In aprile la primavera entra nel vivo: le costellazioni invernali tramontano presto per lasciare spazio a quelle tipicamente primaverili.
di Davide Cenadelli
In aprile la primavera entra nel vivo. Di prima sera le costellazioni invernali sono ancora visibili, ma vanno a tramontare sempre più presto, mentre col passare delle ore sono le costellazioni primaverili a salire alla ribalta. Quattro sono le grandi costellazioni primaverili più facilmente identificabili: il Leone, la Vergine, Boote e l’Orsa Maggiore. Quest’ultima è parzialmente circumpolare e quindi visibile in ogni stagione, ma nel cuore della primavera meglio che nelle altre in quanto culmina, prossima alle regioni zenitali, dopo cena. L’Orsa Maggiore è però priva di stelle particolarmente brillanti, non ospitando nessuna stella di prima magnitudine. Leone, Vergine e Boote invece hanno ciascuna una stella brillante: Regolo nel Leone e Spiga nella Vergine, di prima magnitudine, e Arturo in Boote, la più brillante delle tre, la cui magnitudine è addirittura negativa (Arturo è la stella più luminosa dell’emisfero celeste boreale). Ricordiamo che più bassa è la magnitudine di una stella, più questa è brillante; quindi una stella di magnitudine 0 è più luminosa di una di magnitudine 1 e ancora più brillante è una stella di magnitudine negativa.
Il Leone è abbastanza facile da riconoscere: bisogna guardare verso sud, piuttosto in alto, dopo cena e individuare un trapezio costituito da quattro stelle di cui una, sul vertice sudoccidentale (in basso a destra), è la brillante Regolo. Il trapezio costituisce il corpo del Leone, mentre altre stelline ne costituiscono la testa. La costellazione è di origine antichissima (risale almeno al 4.000 a.C.) e in molte diverse culture antiche rappresenta un Leone. Per i Greci era il Leone Nemeo ucciso da Ercole.
A est (sinistra) del Leone, tra questo e la brillantissima Arturo, si trova la piccola ma affascinante costellazione della Chioma di Berenice. Le sue stelle sono poco luminose e difficili da identificare sotto un cielo che non sia terso e buio, ma formano un caratteristico gruppetto, quasi una nidiata di deboli stelline. In effetti diverse stelle della costellazione appartengono a un ammasso aperto, l’Ammasso della Chioma di Berenice (detto anche Melotte 111), che è visibile a occhio nudo e, posto a circa 280 anni luce da noi, è uno dei più vicini al sistema solare.
In primavera, dopo il buon periodo di visibilità invernale, scompare la Via Lattea: essa tramonta sempre prima insieme alle costellazioni invernali e poi, verso mattina, ne sorge il ramo estivo che sarà visibile in orari più comodi d’estate. Nel cuore della notte la Via Lattea risulta visibile solo presso l’orizzonte nord, ove attraversa le costellazioni di Cefeo e Cassiopea molto basse e risulta facilmente nascosta dalle foschie prossime all’orizzonte. La primavera è in effetti la stagione meno favorevole per osservare la Via Lattea, ma questo schiude un’opportunità inaspettata. Di cosa si tratta?
Quando guardiamo verso il Leone, la Chioma di Berenice, Boote, la Vergine stiamo guardando in direzioni lontane dal piano della nostra galassia, che la Via Lattea traccia in cielo. Proprio nella Chioma di Berenice si trova il Polo Nord Galattico, quindi osservando questa costellazione stiamo guardando perpendicolarmente al piano della Galassia, ove lo spessore di questa è minimo, pari a solo mille-duemila anni luce. Questo è il motivo per cui il cielo primaverile è povero di stelle se lo paragoniamo a quello invernale ed estivo, ricchi di una moltitudine di stelline deboli che si vedono lungo e in prossimità della Via Lattea. Ma guardando nella direzione del minimo spessore come avviene in primavera, le polveri interstellari presenti nella nostra galassia ci disturbano poco e non assorbono granché la luce che ci arriva dagli oggetti extragalattici. In questa stagione abbiamo allora l’opportunità di guardare più facilmente al di fuori della nostra galassia, verso altre galassie sparse negli sterminati spazi dell’Universo.
Tra le più spettacolari visibili al telescopio in questo periodo si possono citare nell’Orsa Maggiore M81 (o Galassia di Bode) e M82 (Galassia Sigaro), quest’ultima una spirale vista di taglio, e la spirale vista di faccia M51 (Galassia Vortice) interagente con la più piccola galassia NGC 5195 in sua prossimità, nei Cani da Caccia, piccola costellazione situata tra il Grande Carro dell’Orsa Maggiore e la Chioma di Berenice. Si continua poi con il Tripletto del Leone, costituito dalle galassie spirali M65, M66 e NGC 3628 e le molte galassie della Vergine, tra cui si può ricordare la galassia ellittica supergigante M87 posta a circa 55 milioni di anni luce da noi, al centro della quale si trova un buco nero supermassiccio chiamato M87*, la cui ombra scura è stata la prima mai fotografata. Ma come è possibile fotografare… un’ombra scura contro il cielo nero? Come è stato possibile fotografare un oggetto che per definizione viene detto “nero”? Grazie alla presenza, attorno a questo ombroso personaggio, di un luminoso disco di accrescimento costituito di gas caldissimo in caduta verso di esso. Insomma: primavera, stagione di fiori, tepori… galassie e buchi neri!
Rientrando dagli immensi spazi tra le galassie al Sistema Solare, sul fronte planetario il mese di aprile si presta a osservare Giove, nel Toro, e Marte nei Gemelli per la prima parte della notte. Venere è invece visibile per breve tempo prima dell’alba, nel cielo rischiarato dall’aurora. Sempre prima dell’alba, verso fine mese, si può tentare di rintracciare Saturno che si allontana angolarmente dal Sole dopo la recente congiunzione del mese scorso. A fine mese Saturno appare in cielo non lontano da Venere; pur essendo il pianeta con gli anelli ben visibile a occhio nudo, il fatto che appaia sul cielo rischiarato dall’aurora può far preferire l’uso di un binocolo per localizzarlo. Nessun problema invece a trovare Venere, per via della sua enorme luminosità.
LA STELLA DEL MESE: DENEBOLA
Il trapezio che costituisce il corpo del Leone è formato da quattro stelle poste a diverse distanze da noi: Regolo, la più luminosa, sta al vertice sudoccidentale (in basso a destra) e dista 79 anni luce, Algieba a quello nordoccidentale (in alto a destra) e ne dista 130, Zosma a quello nordorientale (in alto a sinistra) e si trova a 58 anni luce e infine Denebola a quello sudorientale (in basso a sinistra) che, delle quattro, è la più vicina, trovandosi a 36 anni luce da noi. Denebola deriva dall’arabo Danab al Asad = coda del leone, dato che identifica questa parte anatomica del felino celeste. Il termine “Deneb”, di origine araba, significa proprio “la coda” ed è condiviso con altre stelle che rappresentano le code di altri animali celesti (si pensi alla brillante Deneb del Cigno o a Deneb Algedi nel Capricorno).
In realtà, anticamente la coda del Leone proseguiva fino a un vicino gruppetto di stelle, un ammasso aperto ben visibile a occhio nudo, che della coda indicava il ciuffo di peli. Senonché, nel II secolo a.C., l’astronomo egizio Conone per così dire “accorciò” la coda al Leone utilizzando quelle stelle per formare la costellazione della Chioma di Berenice, in onore alla regina d’Egitto Berenice II. Berenice aveva fatto voto che avrebbe sacrificato la sua bellissima chioma se il marito Tolomeo III fosse tornato vittorioso dalla guerra, cosa che avvenne. Senonché la chioma, deposta nel tempio dedicato ad Arsinoe II (poi identificata con Afrodite), sparì e per mettere una pezza alla incresciosa situazione Conone disse che era finita in cielo, inventando l’omonima costellazione.
Oggi, quindi, la coda del Leone è indicata da Denebola. Si tratta di una stella nana di colore bianco-azzurrino (tipo spettrale A3, temperatura superficiale 8.300 K) 1,75 volte più grande del Sole e 15 volte più luminosa. Come tipo di stella possiamo ritenerla intermedia tra Sirio e Altair, due delle stelle più luminose del cielo, novero al quale Denebola non appartiene trovandosi decisamente più lontano di queste. La magnitudine apparente di 2,14 la rende comunque, dopo Regolo, la seconda più brillante della costellazione del Leone. Proprio come Altair, ruota rapidamente fino ad avere assunto una forma oblata. Attorno alla stella si trova un disco di materia in cui potrebbero essersi formati pianeti, peraltro al momento ancora non scoperti.
Davide Cenadelli è un astrofisico PhD che ha svolto per anni attività di ricerca all’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta (OAVdA), dove si è anche occupato di didattica e divulgazione.