La primavera entra nel vivo e le ore di luce via via aumentano
di Davide Cenadelli
Di prima sera, le costellazioni invernali sono ancora visibili, ma vanno a tramontare sempre più presto, mentre col passare delle ore sono le costellazioni primaverili a salire alla ribalta. Quattro sono le grandi costellazioni primaverili più facilmente identificabili: il Leone, la Vergine, Boote e l’Orsa Maggiore. Quest’ultima è parzialmente circumpolare e quindi visibile in ogni stagione, ma nel cuore della primavera meglio che nelle altre in quanto culmina, prossima alle regioni zenitali, dopo cena. L’Orsa Maggiore è però priva di stelle particolarmente brillanti, non ospitando nessuna stella di prima magnitudine. Leone, Vergine e Boote invece hanno ciascuna una stella brillante: Regolo nel Leone e Spiga nella Vergine, di prima magnitudine, e Arturo in Boote, la più brillante delle tre, la cui magnitudine è addirittura negativa (Arturo è la stella più luminosa dell’emisfero celeste boreale). Ricordiamo che più bassa è la magnitudine di una stella, più questa è brillante, quindi una stella di magnitudine 0 è più luminosa di una di magnitudine 1, e ancora più brillante è una stella di magnitudine negativa.
Il Leone è abbastanza facile da riconoscere: bisogna guardare verso sud, piuttosto in alto, dopo cena, e individuare un trapezio costituito da quattro stelle, di cui una, sul vertice sudoccidentale (in basso a destra) è la brillante Regolo. Il trapezio costituisce il corpo del Leone, mentre altre stelline ne costituiscono la testa. La stella sudorientale del trapezio (in basso a sinistra) si chiama Denebola, nome che deriva dall’arabo “Deneb Alased” a significare “la coda del leone”. Il termine “Deneb” di origine araba significa proprio “la coda” ed è condiviso con altre stelle, che rappresentano le code di altri animali celesti (si pensi alla brillante Deneb del Cigno o a Deneb Algedi nel Carpicorno). La costellazione è di origine antichissima (risale almeno al 4.000 a.C.) e in molte diverse culture antiche rappresenta un Leone. Per i Greci era il Leone Nemeo ucciso da Ercole.
A est (sinistra) del Leone, tra questo e la brillantissima Arturo, si trova la piccola ma affascinante costellazione della Chioma di Berenice. Le sue stelle sono poco luminose e difficili da identificare sotto un cielo che non sia terso e buio, ma formano un caratteristico gruppetto, quasi una nidiata di deboli stelline, e in effetti diverse stelle della costellazione appartengono a un ammasso aperto, l’Ammasso della Chioma di Berenice (detto anche Melotte 111), che è visibile a occhio nudo e, posto a circa 280 anni luce da noi, è uno dei più vicini al sistema solare.
In primavera, dopo il buon periodo di visibilità invernale, scompare la Via Lattea: essa tramonta sempre prima insieme alle costellazioni invernali, e poi verso mattina ne sorge il ramo estivo, che sarà visibile in orari più comodi d’estate, ma nel cuore della notte la Via Lattea risulta visibile solo presso l’orizzonte nord, ove attraversa le costellazioni di Cefeo e Cassiopea molto basse, e risulta facilmente nascosta dalle foschie prossime all’orizzonte. La primavera è in effetti la stagione meno favorevole per osservare la Via Lattea, ma questo schiude un’opportunità inaspettata. Di cosa si tratta?
Quando guardiamo verso il Leone, la Chioma di Berenice, Boote, la Vergine, stiamo guardando in direzioni lontane dal piano della nostra galassia, che la Via Lattea traccia in cielo. Proprio nella Chioma di Berenice si trova il Polo Nord Galattico, quindi osservando questa costellazione stiamo guardando perpendicolarmente al piano della Galassia, ove lo spessore di questa è minimo, pari a solo un migliaio di anni luce. Questo è il motivo per cui il cielo primaverile è povero di stelle se lo paragoniamo a quello invernale ed estivo, ricchi di una moltitudine di stelline deboli che si vedono lungo e in prossimità della Via Lattea. Ma guardando nella direzione del minimo spessore come avviene in primavera, le polveri interstellari presenti nella nostra galassia ci disturbano poco e non assorbono granché la luce che ci arriva dagli oggetti extragalattici. In questa stagione abbiamo allora l’opportunità di guardare più facilmente al di fuori della nostra galassia, verso altre galassie sparse negli sterminati spazi dell’Universo.
Tra le più spettacolari visibili al telescopio in questo periodo si possono citare nell’Orsa Maggiore M81 (o Galassia di Bode) e M82 (Galassia Sigaro), quest’ultima una spirale vista di taglio, e la spirale vista di faccia M51 (Galassia Vortice) interagente con la più piccola galassia NGC 5195 in sua prossimità, nei Cani da Caccia, piccola costellazione situata tra il Grande Carro dell’Orsa Maggiore e la Chioma di Berenice. Si continua poi con il Tripletto del Leone, costituito dalle galassie spirali M65, M66 e NGC 3628, e le molte galassie della Vergine, tra cui si può ricordare la galassia ellittica supergigante M87 posta a circa 55 milioni di anni luce da noi, al centro della quale si trova un buco nero supermassiccio chiamato M87*, la cui ombra scura è stata la prima (e a oggi unica) mai fotografata. Ma come è possibile fotografare … un’ombra scura contro il cielo nero? Come è stato possibile fotografare un oggetto che per definizione viene detto “nero”? Grazie alla presenza, attorno a questo ombroso personaggio, di un luminoso disco di accrescimento costituito di gas caldissimo in caduta verso di esso. Il gas che cade all’interno di questo mostro cosmico è pari a un centinaio di masse terrestri … al giorno! Al primo ritratto di M87* se ne è aggiunto di recente un secondo, in cui sono state ottenute misure di polarizzazione della luce emessa dal gas del disco di accrescimento, capaci di svelare la complessa struttura dei campi magnetici al suo interno. Si tratta di un passaggio chiave verso la comprensione dei getti relativistici che si osservano in prossimità di alcuni buchi neri, e per la dinamica dei quali i campi magnetici giocano un ruolo cruciale.
Insomma: primavera, stagione di fiori, tepori … galassie e buchi neri!
Rientrando dagli immensi spazi tra le galassie al Sistema Solare, sul fronte planetario il mese di aprile si presta a buone osservazioni se siete molto mattinieri. Prima dell’alba, infatti, nel corso del mese si assisterà a un balletto che vedrà protagonisti Venere, Marte, Giove e Saturno che daranno vita a configurazioni mutevoli, con la congiunzione tra Marte e Saturno il giorno 5 (molto stretta, meno di un terzo di grado li separerà) e Venere che si avvicinerà prospetticamente a Giove verso fine mese, fino a dare vita a una congiunzione super-spettacolare il giorno 30: non solo la distanza in cielo tra i due pianeti sarà piccolissima, simile a quella tra Marte e Saturno il giorno 5, ma si tratta anche dei due pianeti più brillanti del cielo. Unica pecca, l’orario scomodo per osservarli, dato che saranno visibili prima dell’alba e nel cielo già rischiarato dall’aurora.
LA STELLA DEL MESE: SPICA
Spica, di prima magnitudine, è la stella più brillante della costellazione della Vergine. Si tratta di un sistema binario stretto, con le due componenti molto calde, di classi spettrali B1 e B2, tanto da renderla una delle stelle brillanti più blu del cielo. La componente principale, di circa 11,5 masse solari, ha già abbandonato la sequenza principale, ove invece si trova ancora la secondaria, circa 7,5 volte più massiccia del Sole. Data la forte dipendenza della luminosità di una stella dalla sua massa, a questa differenza di massa non enorme corrisponde un grande scarto in luminosità, tanto che la componente principale brilla come 20.000 soli, la secondaria “solo” 2.000 volte più della nostra stella. Il periodo orbitale delle due stelle intorno al centro di massa comune è di 4 giorni, per un semiasse maggiore di sole 0,13 UA. La vicinanza tra le due stelle è responsabile di enormi effetti mareali reciproci che ne hanno distorto la forma, che è elissoidale piuttosto che sferica. Il sistema dista da noi 250 anni luce.
Il nome Spica in latino significa spiga (di grano), in quanto la costellazione è ben visibile in primavera, il periodo di crescita del grano. Secondo la mitologia greca, la costellazione della Vergine rappresenta Demetra, la dea della fertilità della Terra, e Spica rappresenta la spiga di grano che ella tiene in mano. Un’associazione di questo tipo è comune a diverse culture antiche, e ci ricorda quale significato avesse un tempo la primavera: è il periodo dell’anno in cui la Terra ricomincia a dare frutti dopo la pausa invernale, quando le riserve di cibo si stanno esaurendo e si guarda con trepidazione ai nuovi raccolti. Un approccio un po’ diverso dal nostro, per cui la primavera è più che altro il periodo in cui calcoliamo se sia possibile fare un super-ponte unendo le vacanze di Pasqua alla festa del 25 aprile.
Note sull’Autore
Davide Cenadelli, PhD, è ricercatore all’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta (OAVdA) dove si occupa, tra le altre cose, di didattica e divulgazione. All’Osservatorio Astronomico, nel corso di serate prefissate, è possibile partecipare a visite guidate notturne durante le quali, in caso di bel tempo, è possibile osservare, sotto la guida di Davide o colleghi, il cielo a occhio nudo e col telescopio, compresi alcuni degli oggetti sopra menzionati, o altri, a seconda della stagione.
Per informazioni sull’Osservatorio Astronomico e per prenotare una visita guidata diurna o notturna: http://www.oavda.it