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Einstein trionfa ancora. 105 anni dalla formulazione della Relatività Generale

Una teoria ultracentenaria che non smette mai di stupirci, mostrandoci sempre più spesso la sua grande solidità su base sperimentale. Si tratta della Relatività Generale di Albert Einstein, ultimata proprio il 25 Novembre di 105 anni fa.

di Andrea Castelli

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Oltre alle cosiddette “prove classiche” della teoria proposte da Einstein stesso – quali la precessione del perielio dell’orbita di Mercurio, la deflessione dei raggi luminosi in presenza di corpi molto massivi e il redshift gravitazionale della luce – di recente si sono aggiunte al già nutrito elenco di test della teoria strabilianti altre conferme sperimentali del capolavoro assoluto del grande fisico tedesco. Basti pensare al recente studio Relativistic redshift of the star S0-2 orbiting the Galactic Center supermassive black hole, risalente ad Agosto 2019, condotto dal team della professoressa Andrea Ghez, neo premio Nobel 2020 per la fisica, grazie al quale si è potuta ottenere una conferma diretta della Relatività Generale addirittura nei pressi del buco nero supermassiccio Sagittarius A*, che si trova al centro della Via Lattea, osservando l’orbita della stella S0-2. Ma, ancora più di recente (Settembre 2020), sulla rivista “Astronomy&Astrophysics” è stato pubblicato un altro lavoro The solar gravitational redshift from HARPS-LFC Moon spectra che ha permesso di misurare il redshift gravitazionale del Sole, con un grado di accuratezza senza precedenti, grazie ad una serie di osservazioni effettuate con lo strumento HARPS (High Accuracy Radial-velocity Planet Searcher) sul telescopio di 3,6 metri presso l’osservatorio di La Silla, in Cile.
Per comprendere questi risultati, torniamo ora al Novembre 1915. Fu un mese di lavoro sovrumano nel corso del quale Albert Einstein presentò ben quattro articoli all’Accademia prussiana delle Scienze contenenti gli ultimi progressi che lo condussero alla formulazione definitiva del suo più grande ed innovativo contributo alla scienza.
La teoria della Relatività Ristretta (Giugno 1905), unificando le leggi della meccanica e quelle dell’elettromagnetismo, aveva portato in primo piano l’importanza del concetto di uguaglianza della forma delle leggi della fisica per tutti gli osservatori inerziali, osservatori questi collocati in sistemi di riferimento che si muovono di moto rettilineo uniforme tra di loro o che si trovano in quiete uno rispetto all’altro. E’ evidente, però, che un gran numero di situazioni resta escluso da questo quadro teorico: quelle in cui il sistema di riferimento scelto è in moto accelerato. Inoltre, la nuova teoria non si accordava con quanto si sapeva sulla gravità, l’altra interazione fondamentale – oltre a quella elettromagnetica – presente nello schema teorico della fisica classica. Infatti, nella fisica newtoniana gli effetti gravitazionali venivano intesi come prodotti da un’”azione istantanea a distanza”, ma questa concezione è in contraddizione con uno dei due postulati su cui è fondata la Relatività Ristretta, secondo il quale la luce si propaga nel vuoto a velocità costante, indipendentemente dallo stato di moto della sorgente o dell’osservatore, e costituisce un limite fisico invalicabile per la trasmissione dei segnali. Questa situazione turbò presto Einstein, che già nel 1907 si immerse immediatamente nel problema per cercare di estendere la teoria ristretta ai moti accelerati. Quasi dieci anni di studi, errori e disperati tentativi tennero occupato il grande fisico fino alla fine del Novembre 1915, quando questo immane sforzo di generalizzazione e unificazione diede finalmente il suo frutto: la Relatività Generale, “la più bella delle teorie”, come la definì il grande fisico russo Lev Landau.
L’idea cardine di tutta la teoria è la seguente. Newton, nella sua teoria della Gravitazione Universale, aveva ipotizzato l’esistenza di una forza che attira tutti i corpi l’uno verso l’altro e le aveva dato il nome di forza di gravità. Come agisse questa forza, soprattutto tra corpi posti a grande distanza senza un mezzo che facesse da tramite, non era spiegato. Inoltre, un’altra fondamentale assunzione di Newton era che i corpi si muovessero nello spazio e che questo spazio fosse una sorta di “grande contenitore” vuoto, una “rigida scaffalatura” che costituisce l’involucro dell’intero Universo. L’analisi delle opere di Faraday e Maxwell portò presto Einstein a riflettere su un innovativo e rivoluzionario concetto introdotto appunto da Faraday e formalizzato poi da Maxwell per mezzo delle sue celebri equazioni: il concetto di campo. Einstein intuì che – così come il campo elettromagnetico veicola la forza elettrica – anche la gravità doveva essere l’espressione dell’esistenza di un campo: il campo gravitazionale. Diversamente dai campi elettrici e magnetici, il campo gravitazionale possiede però la peculiare caratteristica, nota già a Galileo, di non essere dipendente dalla massa e dalla natura dei corpi. Alla luce di questo dato di fatto, Einstein dimostrò l’uguaglianza tra massa inerziale e massa gravitazionale. Ma il guizzo assolutamente geniale del fisico di Ulm fa il suo ingresso in scena proprio ora: il campo gravitazionale non è un campo fisico che si propaga attraverso lo spaziotempo, bensì è ciò che genera la struttura geometrica stessa dello spaziotempo. La rivoluzione concettuale operata da Einstein mostra allora che il moto dei corpi in presenza di gravità non è da ricondurre all’azione a distanza di una vera e propria forza, ma in realtà è dovuto alla modifica della geometria dello spaziotempo, che viene deformato e incurvato dalla presenza di grandi masse e questa curvatura determina la traiettoria dei corpi. Per poter parlare di curvatura dello spaziotempo diviene necessario abbandonare un’altra fondamentale assunzione di Newton: quella che la geometria dello spazio fisico sia euclidea. Infatti, per descrivere l’incurvarsi dello spaziotempo non è più possibile servirsi di tale geometria, poiché essa presuppone che lo spaziotempo sia piatto, ovvero a curvatura nulla. Pertanto, si deve ricorrere a una matematica ben più sofisticata, in grado di esprimere le proprietà di uno spaziotempo curvo. Einstein si rese quindi conto, grazie anche al prezioso aiuto del suo caro amico Marcel Grossmann, che la matematica elaborata da Bernhard Riemann, Gregorio Ricci Curbastro e Tullio Levi-Civita faceva proprio al caso suo. L’oggetto matematico principale della geometria riemanniana è il tensore che porta il nome del suo scopritore, il tensore di Riemann; per mezzo di questo oggetto è possibile catturare in modo del tutto generale le proprietà di curvatura di una varietà con un numero qualsiasi di dimensioni. Einstein introdusse nell’equazione che descrive il campo gravitazionale degli oggetti matematici derivati direttamente dal tensore di Riemann e li mise in relazione con la materia e l’energia che costituiscono le sorgenti del campo gravitazionale. Il risultato fu strabiliante: la curvatura dello spaziotempo risultava essere funzione della quantità di energia e materia presenti in una determinata regione di spaziotempo.
Il processo di generalizzazione della teoria ristretta del 1905 ha avuto come obiettivo anche il raggiungimento del seguente requisito: tutti i sistemi di riferimento, inerziali o accelerati che siano, devono essere equivalenti per quanto riguarda la formulazione delle leggi della fisica. Allo scopo quindi di inglobare la trattazione dei sistemi di riferimento non inerziali nel nuovo quadro teorico che stava approntando, Einstein formulò, per mezzo del celebre esperimento mentale dell’ascensore, il cosiddetto principio di equivalenza: un osservatore che si trova all’interno di un ascensore in caduta libera in un campo gravitazionale uniforme sperimenta i medesimi effetti di un osservatore che si trova, invece, in un razzo posto nello spazio vuoto e sottoposto ad un’accelerazione costante di intensità pari a quella del campo gravitazionale in cui è immerso l’ascensore. Va subito puntualizzato che il principio di equivalenza di Einstein, oltre che alle leggi della meccanica, si applica anche all’elettromagnetismo: non solo la massa è dunque soggetta alla curvatura dello spaziotempo, ma lo è anche la luce, la cui traiettoria risulta essere deflessa ad opera di un intenso campo gravitazionale. La prima conferma di quest’idea e seconda prova sperimentale della Relatività Generale (essendo la prima la corretta determinazione del valore della precessione del perielio dell’orbita di Mercurio), portata a compimento dalle due spedizioni di Eddington e Crommelin durante l’eclissi totale di Sole del 29 Maggio 1919, mostrò infatti che la traiettoria della luce proveniente da alcune stelle veniva incurvata dal campo gravitazionale prodotto dalla massa del Sole.
In definitiva, si è mostrato come tutte le leggi fisiche abbiano allora la stessa forma in ogni sistema di riferimento; questa affermazione prende il nome di principio generale di relatività, la cui implementazione a livello formale porta al principio di covarianza generale: tutte le leggi di natura vanno espresse mediante equazioni che devono risultare valide per qualsiasi sistema di riferimento, ovvero devono essere covarianti rispetto ad un’arbitraria trasformazione di coordinate. L’ultimo passo che resta da compiere consiste nel mettere insieme tutte le caratteristiche che la teoria deve possedere e tradurle nel linguaggio matematico potente e sofisticato della geometria di Riemann. Dopo un lungo e travagliato percorso, il 25 Novembre 1915 Einstein fece questo passo, giungendo alla formulazione definitiva delle equazioni del campo gravitazionale, l’essenza del suo capolavoro.

(parzialmente tratto da A. Castelli, Le interpretazioni filosofiche della Relatività Generale, APhEx – Portale italiano di filosofia analitica, N° 12 Giugno 2015)

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