Il radiomessaggio di Arecibo, il più famoso tentativo di comunicazione destinato a potenziali extraterrestri, compie 50 anni. Ecco com’è nato e quali informazioni contiene.
Il radiotelescopio di Arecibo prima della sua dismissione, avvenuta nel dicembre 2020, a causa dei danni provocati dal terremoto di Porto Rico nel gennaio dello stesso anno. Credit: play.inaf.it
Cinquant’anni fa, il 16 novembre 1974, il radiotelescopio di Arecibo a Porto Rico trasmise a 2380 MHz verso l’ammasso globulare Messier 13, nella costellazione di Ercole, un messaggio radio in codice binario contenente informazioni fondamentali sull’umanità e sul pianeta Terra. La trasmissione faceva parte di una celebrazione per commemorare il completamento di una serie di lavori di ammodernamento del grande radiotelescopio. Si trattò del secondo e più famoso tentativo della storia di mettersi in contatto con potenziali civiltà aliene, dopo l’invio nel 1962 di un messaggio radio in codice Morse verso Venere utilizzando il radiotelescopio di Yevpatoria, in Ucraina. L’idea di comunicare intenzionalmente con mondi lontani tramite segnali radio emessi a frequenze adeguate per non essere “confusi” con quelli prodotti dalle stelle o per non rischiare di finire assorbiti dalle nubi interstellari della nostra galassia risale al lontano 1959, quando due fisici della Cornell University, Giuseppe Cocconi e Philip Morrison, pubblicarono il primo pionieristico studio sull’argomento. La scelta, invece, di usare come bersaglio l’ammasso M13, a circa 25000 anni luce dal sistema solare, risiede nel fatto che, propagandosi dalla Terra in direzione della costellazione di Ercole, il segnale avrebbe potuto attraversare gran parte della Via Lattea. Inoltre, poiché all’epoca non era ancora stato scoperto alcun esopianeta, un ammasso globulare da circa mezzo milione di stelle poteva aumentare la probabilità che almeno una avesse un pianeta attorno a sé. Viaggiando alla velocità della luce, il messaggio di Arecibo impiegherà 25000 anni per raggiungere la sua destinazione, ovvero il nucleo di M13, che però a quell’epoca non si troverà più nella stessa posizione che occupa ora a causa dell’orbita che l’ammasso descrive attorno al centro galattico. Fortunatamente per noi, il moto proprio di M13 è piccolo, quindi la “missiva stellare” verrà comunque recapitata in zona utile. Ammesso che ci sia qualcuno lassù in grado di comprenderne il contenuto, cosa tutt’altro che scontata, ci servirebbero altri 25000 anni per ricevere un’eventuale risposta. Oltretutto, per complicare le cose, vale la regola “Paganini non ripete”: il messaggio l’abbiamo inviato una sola volta e basta, quindi o “buona la prima” o niente di fatto. Ma cosa c’è scritto di così importante per provare a conquistare dei potenziali amici di penna cosmici? Il contenuto del messaggio è stato ideato da un gruppo di scienziati della Cornell University e dell’Osservatorio di Arecibo: Frank Drake, creatore dell’omonima celebre equazione e fondatore del SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), Richard Isaacman, Linda May e James C.G. Walker, con il contributo anche di altri ricercatori, tra i quali il famoso astronomo e divulgatore scientifico Carl Sagan. Va precisato che questa “telefonata galattica” non aveva grandi pretese: era da intendersi più come una dimostrazione delle capacità tecnologiche umane che come un serio tentativo di intavolare una conversazione con possibili extraterrestri. Il radiomessaggio è stato composto in codice binario, usando cioè sequenze di “zero” e di “uno” codificati da due frequenze diverse; naturalmente, l’idea era quella di creare un contenuto espresso in un linguaggio semplice e il più “universale” possibile, almeno secondo la logica umana. Il testo è formato da 1679 “caratteri” (bit), numero semi-primo ottenibile solo moltiplicando i numeri primi 73 e 23. La scelta non è stata casuale nemmeno in questo caso: gli alieni, per capirci qualcosa, dovrebbero disporre l’informazione in uno dei due soli modi possibili, ovvero in una griglia di 73 righe e 23 colonne. Se facessero il contrario (23 righe e 73 colonne), il testo non avrebbe senso (sempre secondo noi). Chi ce lo dice però che gli alieni abbiano questo guizzo di creatività? Noi umani faremmo così, ma non è certo una regola universale e non è detto che gli extraterrestri abbiano familiarità con i numeri primi. Comunque sia, nella disposizione corretta, rappresentando gli “uno” come “pieno/colore” e gli “zero” come “vuoto/nero di sfondo”, ecco nella parte sinistra dell’immagine cosa risulta:
A sinistra: il messaggio di Arecibo. A destra: la spiegazione grafica del suo contenuto. Credit: tech.everyeye.it
Nel primo gruppo di elementi – partendo dall’alto e leggendo da sinistra a destra – sono rappresentati i numeri da uno a dieci in codice binario. Alla riga quattro, il quadratino che si trova alla base di ogni numero ha solo la funzione di dare un’indicazione sul punto dal quale partire a leggere (questo stratagemma è adottato anche per altri livelli del messaggio). Giusto per non creare confusione in questo testo estremamente chiaro e comprensibile, va precisato che i numeri otto, nove e dieci sono scritti “andando a capo”, ovvero usando due colonne. Il secondo gruppo di elementi contiene invece la codifica, sempre in binario, del numero atomico degli elementi chimici costitutivi del DNA, fondamentali quindi per la vita qui sulla terra: idrogeno (1), carbonio (6), azoto (7), ossigeno (8) e fosforo (15). Seguono poi, utilizzando quanto comunicato nel precedente gruppo di simboli, alcune sequenze di atomi: sono le formule molecolari dei nucleotidi, le molecole che compongono il DNA. Ora è la volta della parte facile, che graficamente ha un senso quasi immediato: c’è la doppia elica del DNA (in blu nell’immagine) con al centro la rappresentazione (in bianco) del numero di nucleotidi che negli anni ’70 si riteneva componessero il DNA, ovvero circa 4,2 miliardi. Oggi sappiamo che sono molti meno, circa 3,2 miliardi; speriamo che gli alieni non se la prendano per questa informazione errata. La figura forse più riconoscibile in assoluto, chiaramente per noi, è quella che riproduce le fattezze stilizzate di un essere umano (in rosso al centro dell’immagine); alla sua sinistra c’è l’indicazione dell’altezza media di un umano adulto: i quadratini bianchi disposti in orizzontale corrispondono al numero 14 che, moltiplicato per la lunghezza d’onda del messaggio (126 mm), dà infatti 1764 mm. Un’altra cosa che un extraterrestre potrebbe morire dalla voglia di sapere è quanti amici terrestri vogliono mettersi in contatto con lui: ecco allora che, alla destra dell’omino rosso, compare il numero della popolazione mondiale nel 1974: poco meno di 4,3 miliardi di persone. Se, arrivati a leggere fin qui, gli alieni dovessero scoprire che gli stiamo simpatici, dovrebbero sapere dove inviare una loro possibile risposta: ecco che, nel livello successivo, gli diciamo dove abitiamo. Nel penultimo livello c’è infatti una rappresentazione del sistema solare con il Sole sulla sinistra e a seguire il suo corteo di pianeti (i nostalgici noteranno che c’è ancora Plutone). La Terra è rappresentata spostata un po’ in alto, così da far capire che veniamo da lì. Infine, compare la rappresentazione grafica proprio di Arecibo con l’indicazione del diametro del radiotelescopio: i quadratini in colore bianco al centro dell’ultima riga corrispondono al numero 2430 che, moltiplicato per la lunghezza d’onda di trasmissione del messaggio, dà infatti circa 305 metri. Dopo quello di Arecibo, circa una ventina di messaggi radio sono stati inviati nello spazio e tutti testimoniano la nostra voglia di metterci in contatto con altre civiltà. Come era solito affermare Carl Sagan, “a volte credo che ci sia vita negli altri pianeti, a volte credo di no. In qualsiasi dei due casi la conclusione è sorprendente”.