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Primo faccia a faccia con la stella polare

Recentissime immagini della stella polare ottenute con l’interferometro CHARA (Center for High Angular Resolution Astronomy Array) dell’Osservatorio di Monte Wilson rivelano che l’astro ha una “superficie” a chiazze chiare e scure.

di Andrea Castelli

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Immagine in falsi colori della superficie della stella polare ottenuta con l’interferometro CHARA. Credit: Evans et al., ApJ, 2024.

Tra tutte le stelle del cielo non c’è dubbio che, se si esclude il Sole, la stella polare sia la più celebre in assoluto. Nonostante non sia la più luminosa della notte, né la più grande o la più vicina alla Terra, è sicuramente l’astro che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato a cercare. La sua particolarità più nota è che, trovandosi quasi perfettamente in corrispondenza della zona di cielo individuata dal prolungamento dell’asse di rotazione terrestre, per gli abitanti dell’emisfero boreale indica la posizione del polo celeste nord ogni ora della notte per ogni notte dell’anno e, perciò, permette di stabilire l’orientamento sotto un cielo buio. Sarà bene però non affezionarsi troppo a questa stella, poiché α Ursae Minoris o Polaris (questo il suo nome scientifico ufficiale) perderà questo primato poiché, con il passare dei millenni, il nostro asse di rotazione punterà in direzione di altre stelle, così come è avvenuto nel passato, a causa di un moto di precessione al quale è soggetto generato dalle interazioni gravitazionali esercitate prevalentemente da Sole e Luna. Se questo vi sembra quanto meno curioso, possiamo aggiungere ora qualcosa in più: in realtà, Polaris non è una stella singola, ma un sistema triplo dominato da una supergigante bianco-gialla (Polaris A) accompagnata da due stelle nane di classe spettrale F, poco luminose e poco più massicce del Sole, impossibili però da vedere a occhio nudo. Come se non bastasse, Polaris A, la componente principale del sistema, è una stella variabile cefeide. Prendendo il nome dalla stella delta Cephei, la prima di questo tipo ad essere stata scoperta, le cefeidi sono astri pulsanti che mostrano una regolare variazione di luminosità, poiché il loro raggio e la loro temperatura variano periodicamente intorno a un valore medio. Nel 1908 Henrietta Swan Leavitt scoprì che esisteva una relazione di proporzionalità tra il periodo e la luminosità assoluta di una cefeide: più lungo è il periodo, più intrinsecamente luminosa è la stella. Polaris pulsa con un periodo di 3,97 giorni, quindi è una stella intrinsecamente non molto luminosa, sebbene superi abbondantemente il nostro Sole. Questa fondamentale relazione tra periodo e luminosità sta alla base della possibilità di determinare in modo preciso le distanze astronomiche. Se queste proprietà della stella polare sono note da tempo, ciò che emerge da uno studio pubblicato molto recentemente sulla rivista “The Astrophysical Journal” è qualcosa che invece non si era mai visto. Utilizzando l’interferometro denominato CHARA (Center for High Angular Resolution Astronomy Array) dell’Osservatorio di Monte Wilson in California che opera nell’ottico e nel vicino infrarosso, un gruppo di ricercatori guidati da Nancy Evans dello “Smithsonian Astrophysical Observatory” di Cambridge (Massachusetts) ha acquisito per la prima volta immagini dirette della fotosfera di Polaris e ha scoperto che la “superficie” dell’astro è maculata, ovvero presenta chiazze chiare e scure che cambiano nel tempo. Si ipotizza che le macchie siano legate al campo magnetico della stella e alla presenza di granuli convettivi, ma saranno necessarie nuove osservazioni in futuro per comprendere a fondo il meccanismo che le genera. Avere un faccia a faccia così ravvicinato con una stella non è cosa da poco, data la loro incredibile distanza. Infatti, Sole a parte, sfruttando la tecnica dell’interferometria – che consente di ottenere un’elevatissima risoluzione angolare combinando la luce proveniente da più telescopi per riuscire a scorgere minuti dettagli – abbiamo visto da vicino il disco di pochissime stelle, tra le quali Antares nello Scorpione, Betelgeuse in Orione e, ora, anche Polaris. Come spesso capita nel fare scienza, da una cosa ne nasce un’altra: in realtà, l’obiettivo primario dello studio era quello di misurare accuratamente l’orbita della compagna più vicina a Polaris A e non quello di studiare direttamente la superficie dell’astro del nord. Oggi, dopo cinque anni consecutivi di osservazioni del sistema triplo di Polaris, sappiamo che l’attuale stella polare pesa come cinque Soli e possiede un raggio 46 volte maggiore di quello della nostra stella, con la quale condivide però la caratteristica di avere delle macchie sulla fotosfera.

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