Nel 1905 Einstein produsse cinque dei suoi più significativi articoli, destinati poi a diventare pietre miliari che stanno alla base delle due più grandi rivoluzioni scientifiche del XX secolo: la relatività e la meccanica quantistica.
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Questo mese di marzo è tristemente destinato a essere ricordato a lungo per via della diffusione del virus SARS-CoV-2 che ha messo in ginocchio l’Italia intera, paralizzando anche ogni forma di attività culturale pubblica. Può quindi essere in qualche modo rincuorante dare uno sguardo al passato e scoprire che il mese di marzo è particolarmente caro alla scienza, poiché molte ricorrenze scientifiche cadono proprio in questo mese. Vediamone alcune tra le più significative.
Il 12 marzo ricorre l’anniversario della prima pubblicazione del Sidereus Nuncius di Galileo Galilei (1610) e questa data viene ora considerata l’inizio della scienza moderna. Il 14 marzo, poi, si ricorda la nascita di Albert Einstein (1879), il genio per antonomasia, ma anche la morte di un suo illustre “erede” e nostro contemporaneo, il cosmologo britannico Stephen Hawking (2018). Inoltre, il 14 marzo (3/14, terzo mese dell’anno e quattordicesimo giorno, secondo la notazione americana) è la giornata mondiale dedicata al “pi-greco”, la costante che vale 3,14 e che esprime il rapporto tra circonferenza e diametro di un cerchio. Non a caso, questo giorno è ora noto come “Pi-Day”.
Ma vorrei aggiungere anche un’altra ricorrenza notevole, che cade poco dopo il giorno 14 e che ci riporta di nuovo ad Albert Einstein: nel 2020, oltre ai 141 anni dalla nascita, si celebrano i 115 anni dal suo “annus mirabilis”, il 1905. In quell’anno davvero straordinario, il ventiseienne impiegato di terza classe all’Ufficio brevetti di Berna da’ alle stampe cinque dei suoi più significativi articoli, destinati poi a diventare pietre miliari che stanno alla base delle due più grandi rivoluzioni scientifiche del XX secolo: la relatività e la meccanica quantistica. Guarda caso, marzo è di nuovo protagonista, poiché tutto è iniziato ancora una volta quel mese. Infatti, il 17 marzo 1905 gli Annalen der Physik, la più importante rivista di fisica dell’epoca, ricevono un articolo tra i più audaci in assoluto: Su un punto di vista euristico relativo alla generazione e trasformazione della luce. In quelle sedici pagine, ritenute “rivoluzionarie” dallo stesso Einstein, è contenuta la celebre ipotesi sul quanto di luce, ovvero l’idea che la radiazione elettromagnetica esiste sempre e solo in forma quantizzata, essendo costituita da un flusso di “quanti di energia luminosa”, quelli che parecchi anni dopo verranno denominati “fotoni”. La natura discreta della radiazione elettromagnetica non riguarda quindi solamente i processi di emissione e assorbimento, come aveva ipotizzato Max Planck studiando il problema del corpo nero, ma costituisce un suo tratto caratteristico ed essenziale. Sulla base di quell’ipotesi e del principio euristico che da essa deriva, il futuro grande fisico fornisce una solida e convincente spiegazione dell’effetto fotoelettrico che, fino a quel momento, risultava incomprensibile, come del resto altri fenomeni, se analizzato sulla base delle leggi della fisica classica. Questo frutterà ad Einstein, nel 1921, il premio Nobel.
La raffica creativa del nostro giovanotto prosegue e il 19 Agosto la rivista sopra menzionata riceve per la pubblicazione una versione leggermente modificata della sua tesi di dottorato, completata a Berna il 30 Aprile di quello stesso anno. Il titolo dell’articolo recita così: Su una nuova determinazione delle dimensioni molecolari. Sul finire dell”800, la realtà degli atomi era ancora un tema particolarmente dibattuto all’interno della comunità scientifica; quale occasione migliore, allora, per dare il proprio originale contributo? Scopo della tesi è infatti quello di elaborare un nuovo metodo teorico per la determinazione dei raggi molecolari e del numero di Avogadro analizzando fenomeni tipici dei fluidi, a differenza di quanto facevano altri metodi teorici già esistenti all’epoca, basati invece esclusivamente sulla teoria cinetica dei gas. Questo lavoro è il primo grande successo di Einstein per trovare prove a sostegno dell’ipotesi atomica.
La pubblicazione di questo notevole contributo, che ha avuto più applicazioni pratiche di qualsiasi altro lavoro di Einstein, avviene però solamente dopo quella del terzo articolo che Einstein consegna agli Annalen der Physik l’11 maggio del 1905: Sul moto di piccole particelle in sospensione in un fluido in quiete, come previsto dalla teoria cinetico-molecolare del calore. Si tratta della prima memoria sul cosiddetto “moto browniano”, ovvero quell’insieme di movimenti caotici che piccole particelle in sospensione in un liquido compiono a causa dell’agitazione termica delle molecole del liquido stesso. I risultati contenuti in questa memoria, oltre ad essere un meraviglioso esempio di eleganza formale e arguzia, costituiscono un’ulteriore ed eccezionale prova in favore dell’atomismo.
E poi, come se non bastasse quanto fin qui fatto, arriva la ciliegina sulla torta; i giorni 30 giugno e 27 settembre vengono consegnati, nell’ordine e alla solita ben nota rivista, questi due articoli immortali e di capitale importanza per gli sviluppi futuri della fisica: Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento e L’inerzia di un corpo dipende dal suo contenuto di energia? Attraverso un’analisi critica dei concetti di spazio e tempo, materia ed energia, sui quali poggiano sia la meccanica sia l’elettrodinamica, queste due memorie hanno consegnato alla storia ciò che oggi chiamiamo Relatività Ristretta; nome che, peraltro, non ha scelto Einstein, ma Max Planck. Nell’articolo del 27 settembre, di sole tre pagine, è contenuta la celeberrima equazione E = mc².
Quel 1905 è certamente stato un anno memorabile ed estremamente proficuo, non solo per Albert Einstein, ma per l’intera storia della scienza. E, da come sono andate le cose, possiamo affermare che non è iniziato a gennaio, bensì in quel tanto caro mese di marzo.