SHARPLESS 29
Very Large Telescope
SOGGETTO: Sharpless 29, nota anche come Sh2-29, è una nebulosa a emissione e una regione di formazione stellare situata a circa 5500 anni luce di distanza nella costellazione del Sagittario, accanto alla più grande e celebre Nebulosa Laguna. Sharpless 29 rappresenta un laboratorio naturale straordinariamente ricco per lo studio della formazione stellare. Gli astronomi possono analizzare in questa dinamica zona del cielo diversi processi astrofisici, come l’inizio della nascita di una stella, l’interazione tra giovani astri con il mezzo interstellare e l’influenza di questi eventi sui campi magnetici locali.
ARTISTA: Il Very Large Telescope (VLT) dell’ESO (European Southern Observatory), operativo dal 1998, è una delle infrastrutture europee più all’avanguardia nell’astronomia osservativa. Il telescopio si trova sul Cerro Paranal, nel deserto di Atacama (Cile) a 2635 m di altitudine. È uno dei più sofisticati telescopi ottici esistenti, composto da quattro grandi telescopi riflettori dotati di specchi primari da 8,2 metri di diametro affiancati da quattro telescopi ausiliari mobili, anch’essi riflettori, con specchi da 1,8 metri. Queste otto unità possono operare congiuntamente come un unico enorme interferometro, noto come Very Large Telescope Interferometer (VLTI). Grazie a questa configurazione, è possibile ottenere una risoluzione angolare estremamente elevata, permettendo agli astronomi di osservare dettagli finissimi dell’Universo che sarebbero altrimenti irraggiungibili con i singoli telescopi. Ognuno dei quattro strumenti principali può comunque essere utilizzato indipendentemente; in questo modo, si possono catturare immagini di oggetti celesti estremamente deboli, fino alla trentesima magnitudine, in una sola ora di esposizione. Questo livello di sensibilità equivale a rilevare corpi celesti quattro miliardi di volte più deboli rispetto a quanto visibile a occhio nudo.
INFORMAZIONI SULLA FOTO: la camera OmegaCAM del VLT ha ripreso questa suggestiva immagine che mostra polveri cosmiche e nubi di gas che riflettono, assorbono e riemettono la luce proveniente dalle giovani e calde stelle all’interno della nebulosa. OmegaCAM offre un campo visivo di un grado quadrato e il suo rivelatore è costituito da un mosaico di 32 CCD, ciascuno con una dimensione di 2048×4096 pixel per un totale complessivo di 16.000×16.000 pixel. Al centro dell’immagine – realizzata in banda ottica, ovvero una porzione dello spettro elettromagnetico che include il visibile oltre al vicino infrarosso e vicino ultravioletto (non percepibili dall’occhio umano) – si distingue NGC 6559, una zona di intensa formazione stellare. Sebbene si estenda solo per pochi anni luce, questa nebulosa testimonia gli effetti straordinari che le giovani stelle possono produrre sull’ambiente che le ha generate. Le stelle neonate, estremamente calde e con un’età inferiore ai due milioni di anni, emettono potenti radiazioni ad alta energia che riscaldano il gas e la polvere circostanti; i forti venti stellari generati modellano e scolpiscono la nebulosa madre in modo spettacolare. Una delle strutture più evidenti è la cavità (in colore nero) scolpita da un sistema binario particolarmente energetico, la cui espansione sta comprimendo il materiale interstellare ai margini, formando un caratteristico arco rossastro visibile sotto la cavità stessa. L’interazione tra la radiazione ultravioletta e il mezzo interstellare è responsabile dei colori che vediamo: il bagliore rosso diffuso è dovuto all’emissione di idrogeno ionizzato, mentre le tonalità blu provengono dalla luce stellare riflessa e diffusa da minuscole particelle di polvere. Oltre a emissione e riflessione, si osservano anche fenomeni di assorbimento: le nubi di polvere oscurano la luce proveniente dalle stelle retrostanti, mentre filamenti più sottili disegnano intricate strutture scure all’interno della nebulosa.
CURIOSITÀ: L’ESO coltivava da tempo il desiderio di dare ai quattro telescopi principali del VLT nomi che suonassero più autentici e umani rispetto alle sigle originali — UT1, UT2, UT3 e UT4 — troppo fredde e impersonali. Così, nel marzo del 1999, durante la cerimonia di inaugurazione dell’osservatorio di Paranal, fu presa una decisione significativa: i telescopi avrebbero portato nomi ispirati al cielo, tratti dalla lingua locale dei Mapuche, il Mapudungun. Sarebbe stato un modo per onorare non solo il cielo stellato che i telescopi avrebbero scrutato, ma anche la cultura della terra su cui sorgevano. Fu così indetto un concorso di scrittura, rivolto agli studenti della zona di Antofagasta, che invitava i partecipanti a riflettere sul significato dei nuovi nomi e sul legame profondo tra scienza e identità culturale. Un saggio, scritto dalla diciassettenne Jorssy Albanez Castilla di Chuquicamata, colpì particolarmente la giuria e vinse il concorso. E così, da quel giorno i quattro telescopi vengono chiamati in questo modo: Antu (Sole, UT1), Kueyen (Luna, UT2), Melipal (Croce del Sud, UT3) e Yepun (Venere/stella della sera, UT4). Per il suo lavoro, la ragazza ricevette un premio speciale: un telescopio amatoriale che le venne consegnato proprio durante l’inaugurazione dell’osservatorio.
Data di rilascio: 13 dicembre 2017
Con “data di rilascio” si intende il momento in cui un’immagine astronomica viene resa pubblica, ovvero quando diventa disponibile sui siti ufficiali per la visualizzazione e la distribuzione.
Image credit: ESO (European Southern Observatory)